Partito di Alternativa Comunista

Lavoratori stagionali: la favola degli sfaticati non regge alla prova della realtà

Lavoratori stagionali: la favola degli sfaticati non regge alla prova della realtà

 

 

 

di Diego Bossi

 

 

Nella corposa massa di testi, editoriali e articoli che come partito abbiamo prodotto e pubblicato su questo sito e sul nostro giornale, Progetto comunista, in 18 mesi di emergenza sanitaria dovuta alla pandemia di Covid 19, ci siamo ben guardati dall’omettere la drammatica situazione di molti settori di piccoli commercianti e artigiani. Ben sappiamo che le misure di restrizione per evitare gli assembramenti e i relativi contagi si sono abbattute anche su chi, dagli assembramenti, traeva la sua fonte di guadagno. In cima alla drammatica classifica delle attività penalizzate troviamo senza dubbio ristoratori, baristi, titolari di svariati locali enogastronomici di ogni tipo che per anni hanno coniugato cibo, socialità e svago nelle nostre città e nei nostri quartieri; a questi vanno aggiunti cinema, teatri, discoteche e tutta l’attività concertistica di ogni livello.

 

Riaperture e negazionismi

Bene. Fatta questa premessa, per noi importante per distinguerci da coloro che in nome di un marxismo travisato escludono dai processi rivoluzionari tutto ciò che non sia classe operaia, dobbiamo altresì dire che a differenza di tanti (troppi!) non siamo caduti in una serie di trappole illogiche che hanno falsato il problema generando delle rivendicazioni sulla base di analisi sbagliate, fino a generare visioni negazioniste o riduzioniste. Abbiamo mantenuto la barra dritta sull’emergenza sanitaria, denunciando le responsabilità politiche della borghesia, dei suoi governi e il ruolo di supporto al padronato che hanno avuto le direzioni opportuniste dei sindacati. Abbiamo avanzato un programma di emergenza che, seppur mettendo al centro la classe operaia e i lavoratori salariati, non ha dimenticato altri settori della società, compresi i settori doppiamente oppressi (donne, immigrati, lgbt, ecc.), i disoccupati e le piccole imprese familiari.
Con l’arrivo dell’estate c’è stata praticamente una riapertura totale e, nonostante 7 persone su 10 non siano ancora vaccinate e la temuta variante Delta abbia aumentato in pochi giorni dall’1 al 23% dei positivi la sua incidenza su base nazionale, abbiamo assistito alla cessazione (mascherine comprese) di ogni misura di contenimento del contagio. Un «liberi tutti» che ampi settori della piccola borghesia composta da baristi, ristoratori, albergatori e gestori di bagni e lidi lungo gli 8 mila km di coste italiane hanno agguantato immediatamente, per recuperare fino all’ultimo centesimo perduto.
Così molti «eroi» delle riviere, dimentichi del fatto che l’origine del loro malessere sta nel sistema capitalista dominato dalla grande borghesia, si sono scagliati contro chi ha patito e in generale patisce più di loro gli effetti di questo sistema barbaro: i lavoratori stagionali; accusando loro di essere sfaticati e di rifiutare il lavoro preferendo ad esso i sussidi. Le cose stanno veramente così? Andiamo a vedere.

 

 

Stagionalità del lavoro e precarietà dei lavoratori

C’è un primo equivoco che dobbiamo subito chiarire: quando parliamo di lavoro stagionale, spesso trasferiamo il concetto di stagione alla contrattazione lavorativa. Ed è un errore da evitare, poiché la stagionalità è una caratteristica di un determinato lavoro, si pensi agli impianti sciistici nelle zone montane, funzionanti nella sola stagione invernale, o alle attività balneari sulle coste, aperte solo in estate. La precarietà, vale a dire il tempo determinato del contratto lavorativo, non è affatto un’esigenza del lavoro in sé, ma di chi quel lavoro lo sfrutta e che al termine della stagione scaricherà la forza lavoro non necessaria al suo guadagno; ma l’esigenza del lavoratore di avere una continuità salariale non si estinguerà al termine della stagione: esso dovrà, per sopravvivere, cercare altri lavori stagionali e precari.
Possiamo veramente definire «sfaticati» i giovani che rifiutano i lavori stagionali? Nel capitalismo è la necessità di sopravvivenza che spinge i proletari a vendere la loro forza lavoro. Se questa sopravvivenza è messa insieme tra un sussidio pensato per arginare la povertà e un aiuto da parte delle famiglie d’origine (spesso i giovani non hanno la possibilità economica di lasciare la casa dei genitori) e al contempo il lavoro non offre un salto di qualità rispetto a una vita fatta di espedienti, la scelta di non lavorare non è dovuta alla svogliatezza, ma diventa anch’essa una strategia di sopravvivenza, considerando il fatto, non meno importante, che specialmente in estate con le scuole e gli asili chiusi, tutta una serie di servizi come l’accudimento dei minori e l’assistenza agli anziani sono a carico delle famiglie e gravano nella quasi totalità sulle donne. Ma le famiglie proletarie non possono permettersi baby sitter e badanti e i centri estivi, dove esistono, sono un ulteriore costo che incide sui già disastrati bilanci familiari: spesso la disoccupazione, specialmente per le donne relegate da questa società maschilista al ruolo di badanti, accuditrici e faccendiere domestiche, è, per dirla con un ossimoro, una scelta obbligata.
Due diverse indagini svolte in due fra le più importanti aree turistiche del Paese, la ricca Versilia dei vip e la più popolare Riviera romagnola, dimostrano entrambe che in oltre il 70% dei controlli fatti sono presenti irregolarità, e per irregolarità intendiamo lavoro nero o parzialmente nero, assenza di giorni di riposo settimanali, omissione di infortuni, contratti part-time per giornate lavorative dalle 12 alle 18 ore, paghe che arrivano al picco negativo di 2 euro l’ora e ristoratori che pretendono indietro pure le mance destinate ai camerieri. Questo è il «lavoro» che gli «sfaticati», a detta di alcuni piccoli o grandi padroncini (ma non sono mancate dichiarazioni in tal senso da personaggi come Salvini e De Luca), rifiuterebbero per stare sul divano a oziare. Un lavoro fatto di tirocini, apprendistato e stage gratuiti che si protraggono per anni saltando da azienda in azienda. In questo quadro il problema non è più quello di trovare un lavoro per sopravvivere, ma di sopravvivere al lavoro.

 

La doppia morale del «chiagni e fotti»

Di fronte a una tale condizione di sfruttamento dei lavoratori stagionali, non possiamo esimerci dal volgere uno sguardo anche dall’altra parte della linea di sfruttamento.

In primo luogo è bene sfatare subito la retorica che vede grandi e piccoli padroni come benefattori sociali, che oltre a garantire merci e funzioni utili alla società, danno – bontà loro – un’occupazione lavorativa alle masse popolari. Questa è una narrazione falsa è inaccettabile: non solo perché nel capitalismo merci e servizi pagano lo scotto al profitto della classe dominante, ma perché è proprio la classe dominante – cioè i grandi padroni - ad arricchirsi, cosa che fa ben intendere chi deve ringraziare chi.
Ribadiamo il fatto che da parte nostra rivendichiamo sussidi e aiuti reali per tutti i piccoli esercenti che hanno visto un reale peggioramento delle loro condizioni di vita, ristoratori e titolari di lidi inclusi. Ma non possiamo esimerci dal chiedere, invece, a certi ristoratori rampanti e titolari di lidi che piangono miseria senza reali motivi, perché contemporaneamente alla loro disperata ricerca di lavoratori (peraltro fatta sui social o col passa parola per eludere gli uffici di collocamento che pretenderebbero l’indicazione di ccnl e orari) non implementino quelle condizioni che rendano il lavoro un’opzione attrattiva o quanto meno dignitosa per chi lo dovrebbe svolgere. Sarà che aumentando i salari diminuirebbero i loro guadagni? Sarà forse che riducendo le giornate lavorative e garantendo pause e riposi settimanali dovrebbero assumere più personale (diminuendo i loro guadagni)? Sarà che il lavoro nero, presentato come un’opportunità per il lavoratore perché percepirebbe «soldi puliti», in realtà esenta dal pagamento di tributi e contributi e altre spese che andrebbero sempre a gravare sui profitti?
Diciamolo forte e chiaro: l’attacco di costoro ai «giovani sfaticati» non ha nulla a che vedere con un’astratta ripresa economica tout court che riguarda l’intera società in eguale misura. Il loro lamento, insieme a tutto l’impianto retorico dei lavoratori sfaticati adagiati sui sussidi, è il frutto di una bieca ed egoista visione improntata al perseguimento di propri interessi materiali.
Infine, per rimanere in tema di sussidi, invitiamo caldamente anzitutto i grandi padroni, ma anche quelli che nella piccola borghesia li prendono ad esempio, a scendere dal piedistallo dell’etica e della moralità, poiché la medaglia ha due facce: vogliamo parlare di migliaia di lavoratori in cassa integrazione chiamati a lavorare in nero, scaricando così il loro salario sulla collettività (e quindi sugli stessi lavoratori)? Vogliamo parlare dell’uso e abuso di cassa integrazione ordinaria, straordinaria, in deroga, Covid e dei contratti di solidarietà? Chi è che veramente si adagia sui sussidi, chi li percepisce per mettere a tavola un piatto o chi li sfrutta per tutelare i propri profitti? Vogliamo veramente credere che una misura totalmente insufficiente come il reddito di cittadinanza, di 559 euro mensili in media, percepito da soli 26 mila under 25 su 700 mila nuclei familiari beneficiari, sia la manna dal cielo che libera i giovani dal lavoro salariato? Vogliamo veramente credere che con tre milioni di disoccupati e un milione di posti di lavoro persi nell’ultimo anno, manchino i lavoratori? Sì, certo, come no: mancano i lavoratori da assumere, ma fanno battaglia perpetua e a tutti i livelli per avere la libertà di licenziare gli assunti. «Ma mi faccia il piacere!», tuonerebbe Totò.

 

Conclusioni

A tutti i giovani, alle lavoratrici e ai lavoratori stagionali, diciamo che solo la lotta di classe organizzata potrà portare all’ottenimento delle loro rivendicazioni salariali, una lotta di classe che deve tendere a generalizzarsi e che quindi dovrà essere sottratta alle direzioni collaborazioniste e concertative dei maggiori sindacati confederali, una lotta di classe che, anche nel campo del sindacalismo conflittuale, non dovrà essere rallentata da politiche miopi, settarie e autoreferenziali che spesso fanno prevalere la concorrenza tra sigle all’unità di classe. Ma siccome nel capitalismo nessuna conquista dei lavoratori sarà mai definitiva, è necessario che la lotta sindacale sia complementare a quella politica, per un sistema sociale ed economico, il socialismo, che liberi la società dallo sfruttamento e dalle oppressioni.
Da marxisti crediamo che per fare questo serva un partito rivoluzionario, che si costruisca nelle lotte e porti in esse l’orizzonte del socialismo, sviluppandosi contemporaneamente a livello nazionale e internazionale, guidando le masse popolari verso una rivoluzione socialista con la classe operaia alla testa. Questo è il partito che noi di Alternativa comunista, sezione italiana della Lega internazionale dei lavoratori - Quarta internazionale, stiamo cercando di costruire e invitiamo a conoscere.
A ristoratori, baristi e a tutta quella piccola o media borghesia che a vario titolo compone l’industria del turismo, continueremo a dire che il capitalismo non ha nulla da offrire né a loro né al resto dell’umanità; che durante l’emergenza sanitaria loro, come tanti altri, sono stati sacrificati dallo Stato borghese per garantire la produzione e il profitto della grande borghesia industriale; che la stessa emergenza sanitaria è divenuta strutturale e irrisolvibile proprio perché è mancato un vero lockdown che bloccasse tutto ciò che non è essenziale alla sopravvivenza; che centinaia di miliardi (sì, avete letto bene: miliardi, quelli con 9 zeri) di finanziamenti pubblici nazionali e comunitari sono finiti quasi tutti nelle tasche di banchieri e industriali, che il destino di molti di loro nel capitalismo sarà quello di oscillare tra il proletariato e una piccola borghesia incapace di arricchirsi a tal punto da liberarsi del lavoro; che ogni negozio chiuso, ogni serranda definitivamente abbassata, ogni singolo fallimento d’impresa, non sarà mai causato dai lavoratori, ma dal capitalismo. E l’unica classe potenzialmente rivoluzionaria in grado di liberare l’umanità dal capitalismo è il proletariato: per questo è necessario che ad essa si uniscano anche le masse popolari piccolo-borghesi impoverite.
Dire che l’ostacolo allo sviluppo del proprio miserabile orticello sono i lavoratori sfaticati, è una bugia vergognosa e una mancanza di comprensione dovuta a una visione circoscritta alla sfera individuale. I lavoratori non sono il problema, ma potrebbero essere la soluzione. Per tutta l’umanità.

 

 

 

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