Partito di Alternativa Comunista

LIBIA: UNA RIVOLUZIONE, DUE GUERRE

LIBIA: UNA RIVOLUZIONE, DUE GUERRE
In Libia c’è una guerra civile fra la rivoluzione e la controrivoluzione
e un’altra guerra, di aggressione imperialista contro un Paese semicoloniale
 
 
di Eduardo Almeida (*)
 
libia ribelli

Esiste una grande simpatia degli attivisti di tutto il mondo per la rivoluzione araba contro le dittature filoimperialiste che da decenni opprimono quei Paesi. Ma rispetto alla Libia c’è una grande confusione. Fa parte o no dello stesso processo? E adesso, con l’invasione imperialista in atto, da che lato posizionarsi?
La prima confusione si verifica perché le correnti staliniste e chaviste cercano in ogni modo possibile di portare argomenti alla tesi per cui la ribellione del popolo libico è falsa mentre Gheddafi è un combattente antimperialista. Con i metodi tipici dello stalinismo cercano di convincere tutti che la Libia non rientra nello stesso processo arabo.
Ma la realtà entra dalla finestra, dalle porte, dal tetto: basta leggere le notizie sulle milizie di lavoratori e giovani nelle città insorte contro Gheddafi per rendersi conto della falsità degli stalinisti. Si tratta della stessa effervescenza di Piazza Tahrir in Egitto che però ha dovuto armarsi per scontrarsi con un genocida. Si tratta di ciò che sarebbe accaduto in Egitto se l’esercito avesse represso la rivoluzione. Si tratta di quello che può succedere in Yemen e in Bahrein se continuerà la violenta repressione appoggiata dall’imperialismo.
C’è una rivoluzione in Libia, quella dei lavoratori e del popolo insorto contro la dittatura di Gheddafi, che è iniziata in modo molto simile a quelle dell’Egitto e della Tunisia.
 
La confusione deliberatamente sollevata su Gheddafi
In realtà, Castro e Chávez confondono deliberatamente il Gheddafi di quarant’anni fa con l’attuale. Quello di allora diresse nel 1969 un golpe militare che rovesciò la monarchia e nazionalizzò il petrolio, scontrandosi continuamente con l’imperialismo. Già a partire dagli anni Novanta realizzò una brusca svolta a destra consegnando il petrolio libico alla Shell, a British Petroleum, all’Eni (italiana) e alla Total (francese). Si trasformò in un grande borghese, direttamente in società d’affari con le multinazionali. Ad esempio, possiede il 10% delle azioni Fiat e il 7% della banca italiana Unicredit. Venne ricevuto con tutti gli onori dai governi europei, com’è accaduto l’anno scorso con Sarkozy e Berlusconi.
Gheddafi ha avuto un percorso simile a quello di altre correnti nazionaliste borghesi che sono completamente capitolate dinanzi all’imperialismo, come il nasserismo e il peronismo. Il Gheddafi di oggi non è uguale al Perón che nazionalizzò le ferrovie inglesi, ma al peronista Menem che impiantò il neoliberalismo. Non è uguale al Nasser che nazionalizzò il canale di Suez, ma a Mubarak.
La rivoluzione in corso in Libia è pertanto molto simile a quelle che si stanno verificando in tutto il mondo arabo. Ma presenta anche alcune importanti differenze. La prima è che Gheddafi ha reagito con una sanguinosa repressione, utilizzando metodi semifascisti simili a quelli di Israele, bombardando con gli aerei la popolazione civile. Per questo motivo, la rivoluzione ha assunto la caratteristica di una guerra civile.
Ogni rivoluzione si scontra con una controrivoluzione: in questo caso con la risposta violenta del dittatore. Scegliere da che parte stare in un processo come questo è di enorme importanza. Dal lato della rivoluzione o da quello della controrivoluzione? La storia non dimenticherà che Castro e Chávez hanno mantenuto l’appoggio a Gheddafi in questa guerra civile. Hanno sostenuto direttamente la repressione e il genocidio del popolo sporcandosi le mani col sangue della Libia, appoggiando la controrivoluzione.
 
E adesso, con l’intervento imperialista?
La seconda differenza sta nell’intervento militare diretto dell’imperialismo nella regione, che ha provocato un altro tipo di confusione. Cosa fare adesso? Questa è la domanda che si pongono gli attivisti, la maggioranza dei quali concorda sul fatto che è sbagliato appoggiare Gheddafi. Ma la discussione è diventata molto più confusa dopo l’intervento militare dell’imperialismo. Ciò non darebbe ragione a chi appoggia Gheddafi?
No, non la dà. L’imperialismo non interviene perché Gheddafi è antimperialista, dal momento che egli ha consegnato tutto il petrolio. Men che meno perché Gheddafi è un dittatore, dato che lo stesso imperialismo sta contemporaneamente appoggiando un’identica repressione in Bahrein. Il motivo dell’intervento sta nel fatto che l’imperialismo vuole appropriarsi direttamente del petrolio stabilendo una zona controllata nel mezzo della rivoluzione araba. Non ha più fiducia in Gheddafi perché non crede che egli possa ristabilizzare la regione, pur se ottenesse una vittoria militare.
Poiché Gheddafi dispone di una base sociale molto ridotta, e per di più la sua forza militare è limitata, non è in condizioni di continuare a garantire l’occupazione delle città in cui capitola alle forze degli insorti. Riesce ad avere vittorie militari, data la sua superiorità in armamenti, ma non è in grado di garantire la stabilità della regione. È molto probabile che, se vincesse la guerra, l’enorme opposizione al dittatore si trasformerebbe in una guerriglia di massa.
Gheddafi sta concedendo all’imperialismo la possibilità di lanciare una controffensiva per sconfiggere la rivoluzione araba. Spiana la strada all’intervento della Nato “in difesa della democrazia”, mentre il vero motivo sta nel controllo del petrolio e della regione.
Ma allora, come posizionarsi fra la rivoluzione del popolo libico contro Gheddafi e l’intervento militare imperialista? Non si dovrebbe forse mettere da parte la lotta contro Gheddafi concentrandosi nella battaglia contro l’imperialismo?
No. Esistono una rivoluzione e due guerre. Una guerra civile fra il polo della rivoluzione contro Gheddafi e della controrivoluzione scatenata da quest’ultimo. Un’altra guerra di aggressione imperialista contro un Paese semicoloniale. Non si può ignorare l’esistenza di una rivoluzione in Libia. Né si può ridurre la complessità del problema libico solo a una delle due guerre, pena una clamorosa capitolazione all’imperialismo o a Gheddafi.
Per verificare una posizione politica non c’è metodo migliore che sottoporla all’esame della realtà concreta. Si immagini solo la situazione al giorno d’oggi – mentre scriviamo quest’articolo – di un gruppo di militanti rivoluzionari di Bengasi o Misurata, bastioni del popolo insorto. Essi non possono smettere di lottare contro Gheddafi che continua a lanciare attacchi contro queste due città uccidendo decine di persone. Sarebbe necessaria una unità di azione con Gheddafi contro l’imperialismo? In fondo, non c’è una guerra di aggressione imperialista? In termini astratti sì, ma ciò è impossibile politicamente e militarmente.
Il grande ostacolo è lo stesso Gheddafi. Se egli avesse avuto un sia pur minimo atteggiamento antimperialista, avrebbe potuto – al momento dell’aggressione straniera – sospendere tutti gli attacchi contro gli insorti facendo appello a un’ampia unità d’azione contro le forze della Nato. Invece, ha continuato a praticare il genocidio. Politicamente, l’unità d’azione con Gheddafi è impossibile per l’odio da lui stesso suscitato nell’ampia maggioranza delle masse libiche. Non a caso è scoppiata una rivoluzione contro di lui.
In termini militari è impossibile per la continuità dell’aggressione delle forze del dittatore. Continua ad esistere una guerra civile in Libia. Di qui la necessità delle due guerre. Coloro che manifestano soltanto la loro opposizione all’intervento dell’imperialismo tacendo su Gheddafi si dislocano sul terreno politico e militare di questo genocida. Come spesso accade, partendo dalle migliori intenzioni di lottare contro l’imperialismo, tentando di dare priorità all’unità d’azione con Gheddafi senza tener conto della realtà concreta della guerra civile, essi finiscono per dislocarsi nel campo della controrivoluzione diventando complici dei massacri del Mubarak libico.
 
Sparare anche contro l’imperialismo
D’altro canto, la necessità della guerra anche contro l’imperialismo porta necessariamente allo scontro con la direzione del Consiglio Nazionale Libico che si autoproclama rappresentante dell’insurrezione contro Gheddafi appoggiando l’azione militare imperialista. Si tratta di una posizione che tradisce la causa araba facendo sì che l’imperialismo si riprenda dal duro colpo che sta subendo con il rovesciamento delle dittature nella regione. Un territorio dominato dalle truppe dell’Onu o della Nato sarà un bastione contro tutta la rivoluzione araba.
È fondamentale che i combattenti di Bengasi e degli altri territori liberati riprendano l’atteggiamento antimperialista che esisteva nell’area prima della controffensiva di Gheddafi. Non si può accettare la posizione del Consiglio, che nei fatti esprime l’unità d’azione con l’imperialismo. I governi imperialisti hanno l’obiettivo di porre fine alla rivoluzione araba, stabilizzando un territorio da essi direttamente controllato. Appena potranno, le armi nordamericane ed europee saranno puntate contro le milizie armate dell’opposizione. Qualsiasi vittoria tattica sul terreno militare contro Gheddafi grazie ai bombardamenti della Nato si trasformerà ben presto in sconfitta strategica per la rivoluzione.
È molto importante che si articoli un polo antimperialista a Bengasi e nelle regioni controllate dai ribelli. La rivoluzione contro Gheddafi non può cessare di identificare nell’imperialismo un nemico, non può mettere da parte la necessità di una lotta politica e militare contro l’aggressione straniera. La sconfitta della rivoluzione libica potrà essere il prodotto non solo delle truppe di Gheddafi, ma anche dell’intervento imperialista dalla facciata “democratica”.
 
(*) Direzione nazionale del Pstu, sezione in Brasile della Lega Internazionale dei Lavoratori – Quarta Internazionale (Lit-Quarta Internazionale).
 

(traduzione dall'originale spagnolo di Valerio Torre)
 
 

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