Partito di Alternativa Comunista

UN NUOVO VENTO DI LOTTA IN EUROPA

UN NUOVO VENTO DI LOTTA IN EUROPA
Le prime ricadute politiche della crisi economica.
In Islanda e Lettonia i lavoratori assaltano i parlamenti
 
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di Elder Rambaldi
 
 
L'attuale crisi economica di portata mondiale sta già provocando nella sfera politica i primi  effetti, conseguenza della scesa in campo della lotta dei lavoratori e delle masse popolari. Questi ultimi infatti sono i soggetti su cui i governi, le banche ed i padroni riversano la crisi; le politiche si traducono, in generale, in un peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro: perdita del posto di lavoro, perdita del potere d'acquisto dei salari, peggioramento delle tutele, taglio dei servizi. Ciò che fa crescere la disponibilità dei lavoratori a scendere in piazza, come appunto stiamo vedendo in Italia e in Europa.
La crisi sta colpendo in maniera pesante l'Europa, quella più avanzata industrialmente ma anche quella orientale. Le risposte della classe lavoratrice cominciano a farsi sentire: in Italia è stata ampia la partecipazione allo sciopero generale del 12 dicembre e allo sciopero dei metalmeccanici e dei lavoratori del settore pubblico del 13 febbraio; in Francia si sono svolte manifestazioni di salariati che, per il numero, non si vedevano da vent'anni (anche in Gudalupa sono sorte lotte);  in Spagna ed in Portogallo sono soprattutto gli insegnanti e gli studenti a portare avanti la lotta; anche in Irlanda si stanno svolgendo grandi manifestazioni dei lavoratori e ci sono casi di occupazione di fabbriche; in Inghilterra si verificano grandi scioperi “selvaggi” degli edili e dimostrazioni di solidarietà tra lavoratori; in Bulgaria a metà gennaio si sono svolte manifestazioni, con scontri con la polizia, per protestare contro il malessere dovuto alla mancanza del gas e ai gravi problemi di corruzione del Paese; la Grecia, con i fuochi e con con gli scontri contro la polizia dei mesi scorsi, le molotov contro il parlamento borghese, rappresenta il punto più avanzato della lotta della classe lavoratrice e dei giovani rivoluzionari in Europa.
Spesso però sono proprio i sindacati concertativi e riformisti a limitare la lotta o addirittura a fermarla: in Spagna le centrali sindacali boicottano gli scioperi e le manifestazioni indette dai sindacati di base; in Inghilterra le Trade Unions, assieme ai media, strumentalizzano le lotte facendole rientrare in una prospettiva nazionalistica; in Italia, e negli altri Paesi, i sindacati che guidano le lotte non vogliono far accrescere la coscienza dei lavoratori, portarli verso una lotta veramente efficace e verso uno scontro frontale contro la classe nemica.
Abbiamo dedicato altri articoli su questo sito alle lotte in Spagna, Portogallo, Francia, ecc. Stavolta ci soffermiamo su due lotte esemplari su cui si è letto poco in Italia: Islanda e Lettonia.
 
Islanda: parlamento accerchiato, cade il governo
 
 
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Nello scorso ottobre scoppia una forte crisi economica in Islanda, un piccolo Paese che conta appena 300 mila abitanti. Dopo il fallimento della famosa Lehman Brothers statunitense, una bolla speculativa fa collassare le tre principali banche dell'Islanda e con esse i milioni di dollari di investitori europei. Il valore della moneta scende in picchiata e l'inflazione arriva oltre il 20%, il 70% delle imprese fallite creano un repentino aumento della disoccupazione.
Dalla data del tonfo economico inizia una serie crescente di mobilitazioni delle masse popolari, si arriva a metà gennaio con un'imponente manifestazione (considerate le dimensioni del Paese) a Reykjavik che accerchia il Parlamento e riesce a far cadere il governo liberal-conservatore (formato dal Partito di Alleanza Socialdemocratica e dal Partito dell'Indipendenza) guidato dal conservatore Geir Haarde. Scontri con la polizia e partecipazione così ampia non si vedevano dal 1949, quando l'Islanda entrava a far parte della Nato.
L'Islanda, prima della crisi, era considerato un Paese tra i più fiorenti e i più agiati d'Europa, le politiche di liberalizzazione finanziaria avevano attratto i finanziatori e speculatori internazionali.
L'Islanda è molto legata economicamente agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, ai Paesi scandinavi e alla Danimarca. E' uno dei pochi Paesi a non possedere un proprio esercito, la protezione del suolo e dei cieli è affidata agli Stati Uniti d'America.
Dopo la nazionalizzazione delle banche e il prestito dal Fondo Monetario Internazionale di 6 miliardi di dollari (condizionato da tagli alla pensioni e alla spesa pubblica) il Presidente del Paese ha invitato alla formazione di un nuovo governo composto da forze socialdemocratiche (Partito dell'Alleanza Socialdemocratica e Movimento della Sinistra-Verde) con primo ministro l'ex ministro degli affari sociali Sigurdardottir, fino alle prossime elezioni del 25 aprile. L'intenzione del neo primo ministro è quella di traghettare il Paese all'adozione dell'Euro, l'euroscetticismo molto forte è in poco tempo vaporizzato.
Con il cambio di governo e le nuove elezioni la borghesia islandese intende darsi un nuovo volto, pulito agli occhi delle masse, bloccare così la mobilitazione popolare. Purtroppo manca una tradizione rivoluzionaria o di lotta di classe, in questo Paese le tracce di un partito comunista si trovano a fatica: nel 1930 nasce da una costola della socialdemocrazia il Partito Comunista d'Islanda, ma già nel 1938, su indicazione del Comintern stalinizzato (vedi teoria del fronte popolare contro il fascismo), il partito si fonde con un altro pezzo della socialdemocrazia formando il Partito di Unità Popolare – Partito Socialista; quest'ultimo si trasformerà in seguito in un partito socialdemocratico.
 
Lettonia e Lituania: sommosse di piazza e le pietre contro il parlamento
In Lettonia, mentre gli occhi del mondo erano puntati su Gaza ed Israele, si svolgeva una  manifestazione di piazza a Riga che, per la partecipazione, non si vedeva dal '91; partita inizialmente come manifestazione pacifica è poi evoluta in atti di sommossa e di violenza, con lancio di pietre verso il Parlamento e con scontri con la polizia. I manifestanti, portati in piazza dall'opposizione e dai sindacati contro le misure del governo che scaricava gli effetti della crisi sulla popolazione, chiedevano le dimissioni del premier Godmanis e nuove elezioni; la popolazione protestava allo stesso tempo contro la corruzione che investe pesantemente i vertici del Paese. Si stima che quest'anno la crescita della Lettonia sarà negativa di 7 punti e la disoccupazione aumenterà del 10%.
Il 20 febbraio Godmanis, viste le pressioni, è stato costretto a dimettersi. Il capo dello Stato Valdis Zatlers nomina l'ex Ministro delle Finanze Valdis Dombrovskis nuovo Primo Ministro.
In Lituania è presto arrivata la voce delle mobilitazioni dei vicini di casa, ed anche qui quindi sono cominciate le proteste, molto agguerrite, contro il governo. Medesime scene: scontri con la polizia, accerchiamento del Parlamento, lanci di sassi e uova, sindacati in prima fila e parole d'ordine contro il governo e contro la situazione economica del Paese.
Nei Paesi baltici le organizzazioni comuniste sono messe al bando, ed il pensiero comunista, tra la popolazione, è purtroppo associato all'esperienza stalinista.
 
Un nuovo vento di lotta. Servono nuove direzioni politiche
Come si vede anche da queste vicende in generale ignorate dalla stampa (inclusa quella di sinistra) c'è un nuovo vento che sta soffiando in Europa. Le masse europee, con vari gradi di differenziazione, stanno sentendo man mano sulla loro pelle gli effetti della crisi capitalista. Torna quindi la disponibilità delle masse popolari a scendere in piazza e a protestare, con tutti i possibili limiti di una lotta che inizia: rivendicazioni arretrate, assenza di una tradizione recente di lotta di classe, assenza di una direzione rivoluzionaria, presenza di apparati burocratici di sindacati e della socialdemocrazia che cercano di frenare.
Il cambio dei governi in una logica di alternanza non rappresentano nessuna conquista per i lavoratori, la borghesia anzi, con questa mossa, mantiene il suo potere e si lava la faccia: può di nuovo continuare a colpire e a riversare sulle masse popolari gli effetti della crisi. L'unica via d'uscita è rappresentata da una lotta rivoluzionaria non per il cambio di un governo borghese con un altro governo borghese, ma per la fine dei governi della borghesia, per un governo dei lavoratori e per un sistema socialista. Perché le lotte odierne possano crescere e arrivare a quell'obiettivo finale (l'unico in grado di soddisfare le esigenze di milioni di persone) serve una direzione proletaria rivoluzionaria e con influenza di massa sia a livello nazionale che a livello internazionale. Noi. nella modestia delle nostre forze, siamo impegnati in questi due fronti, in Italia (con il Partito di Alternativa Comunista) e nel mondo (con la Lega Internazionale dei Lavoratori – Quarta Internazionale).
 
 

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