Il capitalismo in
crisi attacca il lavoro pubblico
Lavoratori pubblici e
privati: è necessario unire le lotte
di Pia Gigli
E' in atto una vera e propria
campagna denigratoria e punitiva contro i lavoratori pubblici da parte del
governo e in particolare dei ministri Tremonti, Brunetta e Gelmini.
Si tratta di
un attacco al salario e ai diritti che si inserisce su un terreno normativo ed
ideologico già predisposto dal precedente governo di centrosinistra con
l'appoggio delle burocrazie sindacali concertative. Non si può non ricordare il
Memorandum sul lavoro pubblico siglato da Cgil, Cisl e Uil dove, tra l'altro, si
dava il via libera alla triennalizzazione dei contratti e alla "meritocrazia", o
i processi di liberalizzazione e privatizzazione della ministra Lanzillotta, e
ancora i tagli statali alla scuola pubblica e il finanziamento degli istituti
con capitali privati (fondazioni) del ministro Fioroni. Dietro la lotta ai
"fannulloni" di Brunetta c'è un disegno perfettamente bipartisan che
mira a smantellare quel che resta dei servizi pubblici per aprire nuove
opportunità di mercato per le imprese. Anche il lavoro pubblico deve diventare
profittevole, deve mettersi al servizio delle imprese ed è quindi necessario
abbassarne il costo, colpire i lavoratori, renderli precari e ricattabili
riducendo o cancellando tutele (considerate da Brunetta "privilegi"appannaggio
di una masnada di comunisti) conquistate con le lotte.
La Finanziaria
presentata dal governo parla chiaro: all'obiettivo del pareggio di bilancio si
somma la crisi economico-finanziaria e ciò sta producendo una manovra da 35
miliardi in tre anni che si riassume in un piano di pesanti tagli sui più grandi
centri di costo del bilancio dello Stato: sanità, scuola e pubblico
impiego.
Il Piano industriale di
Brunetta
Fin dal mese di maggio il ministro
Brunetta ha chiarito le sue intenzioni attraverso un Piano industriale o "Linee
programmatiche sulla riforma della Pubblica Amministrazione". Un programma di
governo che prevede nella sostanza il depotenziamento del ruolo della
contrattazione con la prevalenza di atti normativi che dettano le regole
unilateralmente; il rafforzamento dei poteri gestionali della dirigenza;
l'ingabbiamento dei lavoratori in un sistema sempre più gerarchico di controllo
e di valutazione dove si sopravviverà soltanto in base alla "fedeltà" e
all'asservimento, criteri a cui saranno legati i premi incentivanti; sistemi di
valutazione stringenti (ma chi giudica?) che continueranno ad essere usati come
elementi di discriminazione; rafforzamento delle sanzioni disciplinari che
preludono, tra l'altro, all'annientamento del conflitto sindacale. A ciò si
aggiunge un processo di razionalizzazione della pubblica amministrazione che
nella realtà produrrà nuove esternalizzazioni, accorpamenti e spacchettamenti di
funzioni.
Il primo disegno di legge delega derivato dal Piano industriale
(Ddl 847 - Delega al governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività
del lavoro pubblico) è stato licenziato il 13 novembre scorso dalla commissione
Affari Costituzionali del Senato e approderà in senato nei prossimi giorni.
Interessanti i commenti di Brunetta e di senatori del governo e dell'opposizione
presenti in commissione, tutti concordi nel ritenersi soddisfatti del testo
licenziato: si tratta infatti di un provvedimento bipartisan che recepisce parte
delle proposte del senatore Ichino (Pd) che, dopo aver votato a favore di quasi
tutti gli articoli, si è astenuto in sede di voto finale.
Punire i fannulloni,
licenziare i precari
In agosto è stata approvata legge
133/2008 (ex decreto 112) che prevede: il taglio del salario accessorio (che a
dispetto del nome è in realtà parte integrante del salario); la riduzione degli
organici; la riduzione delle risorse per la contrattazione integrativa e, in
caso di malattia, l'obbligo di visita fiscale fin dal primo giorno, l'aumento
delle fasce orarie di reperibilità e la decurtazione dello stipendio nei primi
dieci giorni. Si può affermare con certezza che Brunetta è... contro il
precariato. Infatti per lui i circa 500 mila precari pubblici (tra co.co.co.,
interinali, Lsu, ricercatori e docenti dell'università, ricercatori degli enti
di ricerca e precari della scuola) vanno mandati a casa, con il blocco della
loro stabilizzazione al primo luglio 2009 ed il limite di 36 mesi al rinnovo del
contratto.
Attacco alla contrattazione
anche nel pubblico impiego
In linea con i tagli della
Finanziaria e con gli attacchi al pubblico impiego della legge 133/08, il 23
ottobre il ministro Brunetta ha proposto ai sindacati il “Protocollo d'intesa
concernente i rinnovi dei contratti collettivi e la riforma del modello
contrattuale del settore pubblico”. Il protocollo è stato siglato da Cisl, Uil,
Confsal, Usae e Ugl il 30 ottobre, proprio il giorno un cui i lavoratori della
scuola, gli studenti medi e universitari riempivano le strade di Roma in un
immenso sciopero. Come nel caso delle “Linee guida per la riforma della
contrattazione collettiva” proposte da Confindustria per il settore privato, la
Cgil non ha sottoscritto il protocollo (come anche la Rdb), ma non ha
abbandonato il tavolo di negoziato.
Si tratta di un attacco al potere
d’acquisto dei salari, infatti per i rinnovi contrattuali il protocollo conferma
gli irrisori stanziamento previsti dalla finanziaria sulla base di un’inflazione
programmata del 3,2% a fronte di un’inflazione reale di quasi il 4%. Per il 2008
gli aumenti saranno di soli 8/10 euro mensili lordi (corrispondenti
all’indennità di vacanza contrattuale), mentre per il 2009 arriveranno netti in
busta paga circa 40 euro per i ministeriali, 50 per la scuola e cifre inferiori
per enti locali e sanità. Viene confermato il taglio ai fondi per la
contrattazione integrativa di cui viene proposto un parziale recupero differito
nel tempo e una riassegnazione con criteri meritocratici. C’è un impegno
generico al recupero di fondi tagliati con la legge 133/08, mentre per enti
locali e sanità non ci sarà alcun recupero.
Dal punto di vista del modello
contrattuale si apre la strada all’unificazione con il settore privato sulla
strada già indicata dalla proposta di Confindustria.
La Cgil, pur non avendo
firmato il protocollo sul settore pubblico perché ha ritenuto inaccettabili le
proposte economiche, ha ambiguamente mantenuto aperto, come con Confindustria,
il dialogo sul nuovo modello contrattuale e sulla triennalizzazione dei
contratti.
A distanza di pochi giorni il protocollo ha trovato immediata
applicazione nell’ipotesi di rinnovo del contratto nazionale del comparto
ministeri, a cui si aggiunge la previsione della vacanza contrattuale anche per
il biennio 2010/2011 (ciò vuol dire che si sa già che non ci saranno fondi per
aumenti contrattuali e l’assenza di fondi per le grandiose “innovazioni” di cui
Brunetta va fiero.
Per un vero sciopero
generale: se non ora, quando?
I lavoratori pubblici sono
stati i primi a cogliere la gravità dell’attacco del governo al mondo del lavoro
e sono scesi in piazza nel riuscito sciopero generale del sindacalismo di base
del 17 ottobre. Contemporaneamente le straordinarie mobilitazioni del mondo
della scuola hanno riempito le piazze e continuano a contrastare, oltre al
disegno generale di destrutturazione del lavoro pubblico voluto da Brunetta,
anche i provvedimenti reazionari su scuola e università del ministro
Gelmini.
La Cgil, pur essendosi distinta ai tavoli con Governo e
Confindustria e pur avendo colto la spinta proveniente dalla propria base con
scioperi di categoria (scuola e università, commercio, funzione pubblica che ha
portato in piazza circa 300 mila lavoratori il 3, 7 e 14 novembre), si è mossa
in questi mesi su un terreno di ambiguità legata alle dinamiche politiche del
proprio principale referente all’opposizione, il Pd. Queste mobilitazioni,
riuscite, sono servite per riconquistare un ruolo negoziale nei confronti del
governo e di Confindustria ai quali la Cgil tende a proporre ricette riformiste
e keynesiane di fronte alla crisi in atto, svolgendo così un ruolo di
opposizione in un gioco di sponda con il Partito democratico e di contenimento e
controllo del disagio sociale.
Lo sciopero generale indetto
dalla Cgil per il 12 dicembre, annunciato con determinazione da Epifani, si è
così sgonfiato riducendosi a scioperi territoriali (come stabilito dalla
segreteria confederale il 17 novembre), con le nefaste conseguenze di
depotenziare la spinta propulsiva delle lotte delle ultime settimane e di
gettare acqua sul fuoco dell’opposizione sociale. Ancora più grave è la
decisione della Fiom di assecondare tale scelta con la rinuncia alla
manifestazione nazionale del 12 a Roma, come anche della stessa Funzione
pubblica che per bocca del segretario Podda aveva stabilito di scendere in
piazza a fianco dei metalmeccanici: entrambe concorderanno uno sciopero e una
manifestazione nazionale per il mese di... febbraio 2009.
Anche la sinistra
sindacale in Cgil, la Rete 28 aprile, avrebbe dovuto battersi per l'unificazione
delle vertenze in una grande giornata di lotta e di sciopero generale con
manifestazione a Roma, oltre a rilanciare la necessaria convergenza con tutto il
sindacalismo conflittuale (Rdb Cub, C. Cobas, Sdl), a partire dalle lotte dei
lavoratori Alitalia e del movimento degli studenti e dei lavoratori della
scuola.
Come Partito di Alternativa Comunista continueremo a batterci per un
vero sciopero generale e di massa che unifichi i diversi comparti del lavoro
salariato pubblico e privato, i precari, gli studenti e le masse popolari,
blocchi il Paese, spazzi via questo governo reazionario e faccia pagare la crisi
ai veri responsabili: le banche e i padroni.