Il precariato prende coscienza di sé
Nuove speranze di lotta di classe nell’Università
di Vincenzo Spagnolo (ricercatore universitario)
La riforma Gelmini (Legge 240/2010) ha spalancato i cancelli verso il rapido e catastrofico sfacelo dell’Università pubblica, che già qualche decennio fa avrebbe necessitato di un sostanziale aggiornamento, ma in direzione del tutto opposta a quella imposta da tale riforma. Di fronte alla riduzione di un servizio pubblico ad un cumulo di macerie, è bene ricordarlo, tutti i governi borghesi avvicendatisi (così come tutta la sedicente sinistra e le alte direzioni sindacali) non hanno mai realmente mostrato interesse a cancellare quello scempio, gettando senza dignità la spugna, dopo aver illuso, disarmato e tradito le straordinarie mobilitazioni di quegli anni. Ciò dimostra la sostanziale complicità ed unità d’azione della borghesia italica (di cui i vari partiti opportunisti sono effettiva espressione) e di certe burocrazie sindacali, contro gli interessi della classe lavoratrice.
Se la struttura universitaria è riuscita a sopravvivere finora (persino con livelli di ricerca e didattica relativamente buoni), ciò è stato possibile prevalentemente (se non unicamente) grazie al sacrificio di decine di migliaia di precari e al prezzo di un netto deterioramento delle condizioni lavorative. Le dinamiche che hanno portato l’Università pubblica al collasso sono state descritte, a grandi linee, in un articolo di Progetto Comunista, pubblicato anche su questo sito (1).
Se «Legge Gelmini» richiama subito alla mente qualcosa (quanto meno per le straordinarie mobilitazioni che produsse), «Riforma del preruolo» (DL 36/22) è un termine praticamente ignoto (per il sostanziale silenzio che l’ha avviluppata).
Da parte delle maggiori organizzazioni sindacali e di categoria, infatti, è stato mantenuto un «inspiegabile» scarso clamore. Critiche e dibattito sono rimasti confinati, coinvolgendo solo una minima parte dei lavoratori e delle lavoratrici, senza avviare, di conseguenza, concrete azioni di informazione, coordinamento e mobilitazione di massa. Le poche eccezioni che hanno cercato di uscire da queste dinamiche non hanno avuto forze e organizzazione sufficienti per rompere l’assedio del silenzio e dell’immobilismo. Da parte nostra, non concedemmo alcuno sconto alle truffe dei vari riformisti, accogliendo il dissenso di quei precari e precarie che comprendevano l’effettivo valore della riforma del pre-ruolo: un disegno in sostanziale continuità con la Legge Gelmini.
La dialettica marxista al servizio di una reale riforma strutturale
Il «guardare l’albero e perdere di vista la foresta» non è mai stato un buon approccio per l’analisi di problemi d’ordine generale. Questo è stato il metodo di chi, anche in buona fede (persino tra i precari), ha preferito focalizzarsi sui singoli elementi apparentemente progressivi del DL 36/22, perdendone di vista l’impianto generale del tutto regressivo. L’astrarre singoli elementi «progressivi» dal loro contesto generale, trasformandoli in principi assoluti (ossia l’approccio del pensiero comune), porta con sé un errore di tipo «metafisico» che, nel concreto, diventa prassi reazionaria, in quanto inibisce il moto di opposizione derivante dalle reali contraddizioni del sistema (2).
In termini teoretici, questa lettura assumerebbe che la forma (ossia l’Università pubblica) sia un’entità invariabile dominata da «leggi assolute», iperuraniche. In realtà, le «leggi» reali che regolano tale forma sono chiaramente espresse dai principi della riforma Gelmini: 1) taglio netto della spesa pubblica, 2) precarizzazione selvaggia del personale, 3) privatizzazione gestionale ed economica, 4) polarizzazione tra Università di serie A e di serie B. In termini pratici, pertanto, tali premesse accettano unicamente che sia il contenuto (ossia il personale e le sue relative funzioni) a doversi adattare alla forma, invertendo, così, le reali dinamiche che regolano i processi di trasformazione (e il tutto per rispondere ai biechi interessi della classe padronale). Il DL 36/22, attuando piccoli ritocchi sulle forme contrattuali, in realtà, non mette minimamente in discussione l’assetto generale dell’Università. Presi individualmente, i nuovi contratti introdotti dalla riforma mostrano anche importanti progressi rispetto all’impianto precedente. Tuttavia, tra i coni d’ombra legislativi e per la loro stessa impostazione, questi contratti possono avere un’attuazione effettiva in senso nettamente peggiorativo rispetto alla stessa L.240/2010 e non necessariamente in senso migliorativo. Ma non è questo il punto centrale: il gioco delle tre carte con i ruoli contrattuali non risolve affatto i problemi strutturali dell’Università pubblica, ma per capirlo, appunto, occorre guardare la foresta, non l’albero.
L’approccio del materialismo dialettico si basa sul principio opposto a quello del pensiero comune, per cui è la forma a doversi adattare al contenuto, nel momento in cui le contraddizioni prodotte dalla dialettica tra forze sociali, organizzazione del lavoro, progresso scientifico e tecnologico impongono una trasformazione dell’intero sistema, pena, il collasso generale. Allo stato delle cose, l’interdisciplinarietà fra settori teoreticamente e tecnologicamente sempre più avanzati, la necessità di un enorme ampliamento della ricerca di base, la complessità della trasmissione di conoscenze sempre più specialistiche sono tra i fattori progressivi dello sviluppo universitario. Tali fattori evidenziano il bisogno vitale non solo di un adeguamento tecnologico ai moderni standard didattici e di ricerca, ma anche e soprattutto di un allargamento della base lavoratrice e, conseguentemente, di una vera riforma strutturale dell’intera Università pubblica.
In funzione di quanto detto, solo il materialismo dialettico consente di elaborate un piano di rivendicazioni avanzato e adeguato alle reali esigenze di sviluppo materiale, «scientifico» e sociale (3).
Le nostre rivendicazioni
Restando ad un livello di struttura molto generale, ad esempio, si possono elencare almeno 5 punti imprescindibili (tra i vari che si potrebbero articolare, ma che devono nascere dal confronto tra le componenti progressive e più sfruttate del mondo accademico):
- Ridefinizione dei ruoli del personale secondo le reali funzioni dell’Università (Ricerca, Didattica, supporto Tecnico, …), prevedendo, carriere separate per tali funzioni che comprendano, oltre ai contratti post-doc a tempo determinato (possibilmente specifici e abilitanti per la futura professionalità), anche le consequenziali posizioni a tempo indeterminato (con la reintroduzione, ad esempio, del Ricercatore a tempo indeterminato).
- Sblocco del turnover, con l’aumento sostanziale del Fondo di Finanziamento Ordinario, per consentire un massiccio piano di reclutamento ordinario e straordinario sia di personale a tempo indeterminato, sia nei ruoli post-doc transitori.
- Ridefinizione in senso democratico dei criteri di allocazione delle risorse ed eliminazione della piaga della “meritocrazia”.
- Totale indipendenza e libertà di didattica e ricerca dalle ingerenze degli apparati politici e produttivi.
- Aumento dei salari per il personale tecnico amministrativo e per tutti i precari, le cui condizioni sono semplicemente intollerabili, come emerso anche dall’ultima indagine Adi sulla questione salariale del dottorato in Italia (4).
L’Ancien Régime e i suoi servi costituiscono un freno al pieno sviluppo delle moderne potenzialità della Ricerca. Le effettive esigenze materiali di sviluppo, infatti, sono interpretate in chiave austerity, con un pesantissimo costo umano, che si misura in termini di precariato, sfruttamento, alienazione e malessere psicologico.
La lotta di classe è la sola soluzione
Come sempre, solo la lotta di classe cosciente rappresenta una reale risposta al problema, per quanto le modalità di attuazione non siano sempre facili o replicabili «a stampo».
Nel panorama attuale, esistono diverse realtà organizzate, in cui è riflessa la multiformità del mondo lavorativo e politico universitario (Adi, ReStrike, Rete 29 aprile, Roars, Anpuc…). ReStrike (Coordinamento nazionale dei precari e delle precarie della ricerca), nata proprio dalla necessità pratica di dare un’organizzazione alla lotta contro il DL 36/22, costituisce una novità promettente, in termini di coscienza di classe, modalità organizzative e livello delle rivendicazioni (5). Partendo dalla messa in discussione dell’intero impianto ereditato dalla riforma Gelmini, il Coordinamento ha mostrato la capacità di leggere dinamicamente e concretamente l’intreccio combinato di urgenze immediate e strutturali. È stato così in grado di muoversi tra la necessità immediata di evitare il massacro sociale che sarebbe derivato dall’attuazione del DL 36/22 e quelle di sistema generale, avanzando al contempo importanti rivendicazioni strutturali.
Al di là dei meriti e/o delle mancanze di ciascuno di questi gruppi, tuttavia, esiste al momento una situazione di stasi preoccupante nel moto e nell’organizzazione della lotta, che, almeno in parte, deriva dalla particolare condizione di precarietà e di pressione lavorativa (e di ricatto) cui i precari sono sottoposti. Di certo non aiutano il senso di atomizzazione, l’apparente tregua o disponibilità al dialogo del governo, le sempre numerosissime scadenze nelle consegne, … la sempre imminente «scadenza» del proprio contratto (e dunque del proprio futuro). In queste condizioni si annidano insidiosi pericoli: cedere la combattività per la concertazione, magari con il «supporto» di abili dirigenti sindacali (nell’illusione di poter ottenere qualcosa raschiando tra le briciole lasciate sugli inutili ed estenuanti tavoli tecnici o di poter contare qualcosa ottenendo una seggiolina negli organi decisionali); restare imbrigliati in una situazione di isolamento (con il rischio di marginalizzazione delle singole componenti di una lotta che deve unire il precariato); delegare i propri compiti di lotta ai soliti partiti opportunisti che arrivano carichi di promesse (che poi, come sempre hanno fatto, saranno altrettanto pronti a tradire le promesse fatte una volta ottenuta l’agognata poltrona).
Leggi e riforme non nascono in un mondo ultraterreno per mano di qualche astratto «legislatore» o per un altrettanto astratto «volere politico». Sono i rapporti di forza derivanti dall’opposizione delle classi sociali che portano a nuove conquiste per i lavoratori e le lavoratrici (come è avvenuto con le dure lotte degli anni Settanta) o a sempre peggiori sconfitte (come avviene da quando è prevalsa la linea concertativa, funzionale solo al mantenimento dei privilegi di casta di una manciata di burocrati sindacali). Per vincere, dunque, non bisogna riporre alcuna fiducia né nei partiti borghesi, né nei dirigenti sindacali che vorranno convincere dell’inutilità della lotta. Bisogna invece riportare i rapporti di forza a favore dei lavoratori e delle lavoratrici, evitando inutili frammentazioni del fronte ad opera di scelte settarie e autoreferenziali. A tal fine, serve una solida costruzione «interna» al mondo universitario (che restituisca coscienza e combattività alla classe), ma pure la capacità di convergere con le altre lotte (anche col supporto del Fronte di Lotta No Austerity). Ora è più che mai urgente un massiccio lavoro di confronto e organizzazione tra tutte le associazioni combattive del precariato universitario, che sappia coinvolgere chi ha veramente a cuore un vero cambiamento strutturale per la dignità e il miglioramento dell’Università pubblica: da quei docenti realmente schierati con il precariato, al mondo studentesco, fino ai lavoratori esternalizzati. Partire da questo è fondamentale per avanzare un programma di rivendicazioni realmente progressivo, che non potrà essere attuato se non attraverso una lotta generalizzata.
Il Partito di Alternativa Comunista appoggia e incoraggia la lotta del precariato universitario, impegnando i propri militanti a contribuire allo sviluppo della costruzione dei coordinamenti, delle mobilitazioni e della piattaforma rivendicativa, consapevole che ogni vittoria dei lavoratori e delle lavoratrici è un nuovo tassello verso l’abbattimento finale del capitalismo, radice comune di tutti i problemi che l’umanità si trova ad affrontare. Per questo, per altro, per tutto!
Note
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Spagnolo & Valenti, Università al collasso: tra precariato strutturale e industrializzazione della mente. Progetto Comunista, n 115, p. 7. https://www.partitodialternativacomunista.org/articoli/sindacato/universita-al-collasso-tra-precariato-strutturale-e-industrializzazione-della-mente
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M. Peña, Che cosa è il marxismo? Trotskismo Oggi, n 18, pp. 15-28.
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L. Trotsky, Programma di transizione, Massari Editore.
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https://dottorato.it/content/x-indagine-adi-su-dottorato-la-questione-salariale