Partito di Alternativa Comunista

Lenin e il partito

 

Lenin e il partito

 

 

di Francesco Ricci

 

 

 

Come era prevedibile, per i Cento anni dalla morte di Lenin i media borghesi stanno lavorando per cercare di svuotare il significato dell'opera di uno dei più grandi rivoluzionari della storia. Ciò viene fatto ripetendo la vecchia cantilena sul «despota sanguinario» che avrebbe aperto la strada allo stalinismo e ai gulag. L'obiettivo è condannare con Lenin e la Rivoluzione d'ottobre l'idea stessa di rivoluzione e cioè la prospettiva di una società senza classi e senza sfruttamento e oppressioni. Per fare ciò si appoggiano sulle falsificazioni storiche degli stalinisti di ieri e di oggi che rivendicano una continuità tra Lenin e Stalin, cioè tra la più grande rivoluzione della storia e la sua negazione controrivoluzionaria conclusasi con la restaurazione del capitalismo in tutti gli ex Stati operai.
Il Pdac e la Lit stanno dedicando ampio spazio a contrastare questa falsificazione, nella consapevolezza che non è possibile avanzare nella costruzione del progetto rivoluzionario senza studiare meticolosamente la storia delle rivoluzioni precedenti, e in particolare quella del 1917 e dunque l'opera del suo principale artefice: il Partito bolscevico e il suo massimo teorico, Vladimir Ilic Lenin.
ùPer questo abbiamo organizzato per l'anniversario una assemblea di due giorni (1); e dedicheremo a questo tema per tutto il 2024 articoli e saggi sulla nostra stampa e sui nostri social; per questo abbiamo pubblicato, per le edizioni Rjazanov, un libro su Lenin (2).

 

  1. Il Che fare? fonda una nuova teoria del partito?

Come è noto, gli stalinisti hanno da sempre presentato il famoso libro Che fare? (3), scritto da Lenin tra l'autunno del 1901 e la primavera del 1902, come una specie di manuale della «concezione leninista del partito», da leggere talmudicamente e applicare letteralmente in ogni suo aspetto in qualsiasi circostanza. Ciò con l'obiettivo di presentare Lenin e Stalin - in quanto suo presunto continuatore – come gli artefici di una «nuova concezione del partito» creando concetti che sarebbero stati estranei allo stesso Marx.
Questa tesi è falsa per almeno due motivi.
Primo motivo, Lenin non ha fondato (né pretendeva di farlo) nessuna «nuova concezione» del partito: la concezione del partito comunista d'avanguardia, delimitato organizzativamente e programmaticamente, sta alla base di tutte le battaglie condotte da Marx e da Engels a partire dalla metà dell'Ottocento, con la Lega dei comunisti, la Prima Internazionale e la Seconda Internazionale (in quest'ultimo caso il solo Engels, Marx essendo morto alcuni anni prima della sua costituzione).
Secondo motivo per cui la tesi sul Che fare? richiamata sopra è falsa è che questa opera non pretendeva di essere un manuale universale di costruzione del partito, dato che per Lenin non si può prescindere dalla situazione concreta in cui un partito si sta costruendo. Per questo nel Che fare? troviamo sia elementi di principio, con una valenza universale, sia aspetti contingenti legati alla tattica adatta a un determinato momento, il tutto sullo sfondo di una polemica sviluppatasi negli anni in cui il testo fu scritto.
Affermato quindi che il Che fare? non conteneva nessuna «nuova concezione del partito» (con relazione a Marx e al marxismo dell'epoca), resta tuttavia da aggiungere che è altrettanto falsa la argomentazione di chi cerca di relativizzare gli aspetti centrali di questo libro e in particolare una delle sue tesi cardine: quella della coscienza «portata dall'esterno».

 

  1. La scandalosa tesi di Lenin (e di Marx) sulla «coscienza dall'esterno»

Come è noto, la tesi che Lenin afferma nel Che fare? è che la coscienza socialista non nasca spontaneamente nella classe operaia né immediatamente nell'ordinario scontro tra le classi, tra borghesia e proletariato, e debba per questo essere «portata dall'esterno», mediata dal partito che ha tra i suoi compiti principali quello di contrastare la tendenza spontanea della classe operaia a subordinarsi alla coscienza borghese.
Nel ribadire nel suo libro questa posizione, Lenin non credeva di stare affermando nulla di particolarmente strano per un marxista.
Difatti, come sa chiunque abbia passato almeno qualche ora a leggere i testi di Marx, e soprattutto a studiare la sua attività politica, questa tesi – che divenne dopo poco oggetto di polemica con i menscevichi – esprime una verità che verrebbe quasi da definire banale per dei marxisti. Nonostante ciò, è fitta la schiera degli studiosi che, con finalità opposte, di critica o di plauso, sostiene che la tesi della coscienza «portata dall'esterno» non si troverebbe in Marx ma solo in Lenin.
Altri ritengono di individuare la stessa contraddizione di Lenin già in Marx. In particolare trovano contraddittorio che Marx abbia affermato contemporaneamente due tesi che sembrano escludersi a vicenda: che «l'emancipazione delle classi lavoratrici deve essere conquistata dalle classi lavoratrici stesse» (4) e che «la coscienza dominante in ogni epoca è quella della classe dominante» (5).
Come è possibile, si chiedono, pensare che un proletariato ideologicamente subalterno alla borghesia possa auto-emanciparsi?
La contraddizione è però tutta nelle loro teste. Marx (e Lenin sulle sue orme) concepiva la coscienza della classe come qualcosa che si sviluppa in modo diseguale e discontinuo. Diseguale perché la classe operaia non è un monolito, è composta da cerchi concentrici di coscienza crescente e di numero decrescente, cioè da settori arretrati e settori avanzati (questi ultimi sono coloro che partecipano in un determinato momento alla lotta o rimangono, dopo la lotta, organizzati politicamente o sindacalmente). E discontinuo perché quegli stessi settori che in un determinato momento sono più avanzati potranno, in un altro momento, arretrare, secondo i fisiologici flussi e riflussi della lotta di classe.
Per fare un esempio: una parte degli operai che nell'Ottobre 1917 partecipava alla rivoluzione, tre anni prima, allo scoppio della guerra, si era ubriacata della propaganda sciovinista; gli stessi (o una parte di coloro) che nel febbraio 1917 vedeva il governo provvisorio come «proprio»; e ancora gli stessi che pochi mesi dopo partecipavano al rovesciamento di quel governo. Gli stessi operai (almeno in parte), infine, che a metà degli anni Venti rifluiranno e saranno la base di massa passiva della burocratizzazione stalinista e del massacro dei dirigenti che avevano sostenuto nel 1917.
La coscienza della classe è mutevole nel tempo: ed è appunto per questo che è necessario costruire un partito rivoluzionario per portare la «coscienza dall'esterno».
Però, insistono i nostri sapientoni, come si può formare questo partito, se la coscienza che domina gli operai è borghese? Il fatto è che Marx parla appunto di coscienza «dominante», il che significa che non pensa sia l'unica coscienza esistente nella società capitalistica ma piuttosto che sia quella che normalmente domina sulle altre. Il partito rivoluzionario, portatore delle esperienze di lotta delle generazioni precedenti, condensate nella teoria marxista, sviluppata in stretta connessione con quelle lotte, ha come sua principale funzione proprio quella di fondere la teoria con le lotte. Ciò che significa contrastare l'ideologia dominante con l'ideologia socialista, cioè con la comprensione generale del sistema capitalistico, del suo funzionamento, della necessità di rovesciarlo con una rivoluzione per sostituire la dittatura della borghesia con la dittatura del proletariato.
Questo è precisamente il significato e il compito che Marx e Lenin attribuiscono al «partito d'avanguardia», che è tale se, intervenendo nelle lotte con un «programma transitorio» (che combina parole d'ordine minime e massime, con lo scopo di far avanzare la coscienza), riesce ad organizzare l'avanguardia per poi estendere la sua influenza su settori più grandi, rappresentando «nelle differenti fasi dello sviluppo dello scontro tra proletariato e borghesia [...] l'interesse del movimento nel suo insieme», come scrive Marx già nel Manifesto del 1848 (6). Ma questo ruolo i comunisti lo possono svolgere, continua sempre il Manifesto, proprio perché «per quel che riguarda la teoria, essi sono avvantaggiati rispetto alla restante massa del proletariato per il fatto che conoscono le condizioni, il procedere e gli esiti generali del movimento proletario» (7).
Nelle fasi di ascesa di uno scontro tra le classi che è fisiologico, spontaneo, inevitabile nella società divisa in classi, la coscienza dominante può incrinarsi, in essa si aprono varchi che consentono al partito di guadagnare alle proprie file l'avanguardia che, a sua volta, trascinerà dietro di sé settori di massa della classe. Questa classe, trasformatasi con la rivoluzione in classe dominante dei mezzi di produzione, imporrà a sua volta sulla società la propria coscienza: che diverrà così la nuova coscienza dominante.
Non si tratta di un'ipotesi astratta: se a Marx non fu dato di raggiungere questo obiettivo, al marxismo organizzato dai bolscevichi l'impresa riuscì consentendo al più piccolo dei partiti della sinistra russa di condurre la classe operaia all'insurrezione e alla conquista del potere nel 1917. Chiaramente l'Ottobre fu il frutto di un lungo lavoro di preparazione, di semina, di propaganda del socialismo nelle lotte, perché il partito non si improvvisa alla vigilia della rivoluzione.

 

  1. Cosa significa la «coscienza dall'esterno»

Per evitare falsi dibattiti partiamo col dire che Lenin (nel Che fare?) non nega la spontaneità della lotta di classe. Ciò che Lenin nega è che dal fisiologico scontro tra le due classi principali in cui è divisa la società nasca spontaneamente la coscienza socialista. Di lì la conclusione che è necessario portare questa coscienza «dall'esterno».
A ben vedere, non è un concetto così strano. Non è difficile comprendere come la borghesia, dominando i mezzi di produzione, controlli anche attraverso infiniti strumenti (mass media, scuole, religioni, partiti riformisti, ecc.) le coscienze degli sfruttati. Non dovrebbe neppure essere difficile capire perché per Lenin (e per Marx) da ciò derivi che la classe degli sfruttati può vincere solo laddove il suo settore più avanzato si organizzi (in un partito) attorno al programma socialista, contrastando l'ideologia dominante borghese e lavorando per far comprendere questo programma a settori via via più ampi del proletariato.
Bene: il concetto di «coscienza dall'esterno», su cui si sono versati e ancora si versano fiumi di inchiostro, vuole dire semplicemente questo. Ciò che viene portato «dall'esterno» è la teoria socialista.
Lenin non pretende certo di insegnare in senso scolastico il socialismo agli operai: evidentemente ha chiaro che la classe può apprendere i suoi compiti socialisti solo con la propria esperienza nella lotta. Ma c'è una condizione perché questo avvenga: che alla lotta partecipi il partito che raggruppa la parte più avanzata della classe stessa e che è il soggetto che compie l'azione di portare la «coscienza dall'esterno».
Il partito rappresenta in questo senso la mediazione necessaria tra l'elemento spontaneo e la coscienza socialista, tra l'immediato e il mediato. Il partito è il trait d'union tra teoria e prassi, tra la parte e il tutto, tra l'esperienza storica della lotta e la lotta presente. È la coscienza permanente, contro i flussi e riflussi della lotta e della coscienza.
Scrive Lenin in Un passo avanti e due indietro: «sarebbe manilovismo [riferimento a Manilov, personaggio di Le anime morte di Gogol, ndr] e "codismo" pensare che col capitalismo quasi tutta la classe [...] sia capace di elevarsi alla coscienza e all'attività del proprio reparto d'avanguardia, del proprio partito [...]» (8).

 

  1. Perché non rinunciamo al Lenin della «coscienza dall'esterno»

Volendo in conclusione riassumere la teoria leniniana sulla «coscienza dall'esterno», per comprenderne appieno l'importanza e l'attualità, potremmo dire che si compone di cinque elementi:
Primo, nessuna lotta dei lavoratori e dei giovani, per quanto radicale, evolverà da sola verso la costruzione di una società nuova in assenza di un programma basato sull'indipendenza di classe dalla borghesia e dai suoi governi. Quotidianamente vediamo esempi di ciò: lotte importanti, in varie parti del mondo, che nonostante gli sforzi profusi non portano né a una vittoria complessiva né a risultati duraturi.
Secondo, questo programma rivoluzionario, a differenza della lotta di classe (che è inevitabile in una società divisa in classi), non sorge spontaneamente dalla lotta: è necessario portare il socialismo «dall'esterno» nell'ordinario scontro tra le classi, contrastando l'ideologia borghese.
Terzo, per realizzare questo scopo è necessario un partito. Non un partito qualsiasi ma simile (nei suoi elementi principali) a quello che i bolscevichi iniziarono a costruire nel congresso del 1903, sulla base del Che fare? (e di tutta l'esperienza teorica e concreta di Marx ed Engels).
Un partito che ha per obiettivo la conquista del potere attraverso il rovesciamento del capitalismo, la rottura rivoluzionaria dello Stato borghese, la sua sostituzione con una dittatura del proletariato, primo passo nella marcia verso una società che, avendo abolito la proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio, e abolendo così la divisione in classi, libererà l'umanità intera da sfruttamento, oppressioni, guerre, miseria.
Quarto, questo partito – diverso da tutti gli altri – non può nascere dall'unione di rivoluzionari e riformisti («unità della sinistra»), o dall'unione di tutti coloro che per un qualche motivo si dicono comunisti («unità dei comunisti»): deve, al contrario, basarsi sulla demarcazione dal riformismo e sulla battaglia per distruggere l'influenza del riformismo tra i lavoratori. Questa è la precondizione per unire i lavoratori su un programma di classe.
Senza la scissione del 1903 tra bolscevichi e menscevichi non avremmo avuto la Rivoluzione d'ottobre. Senza un partito bolscevico tutte le rivoluzioni dell'ultimo secolo sono fallite come sono destinate a fallire, in assenza di un partito di tipo bolscevico, le rivoluzioni future.
Quinto, non si tratta di proclamare questo obiettivo ma di costruirlo giorno per giorno partecipando alle lotte immediate dei lavoratori e dei giovani, guadagnando i migliori elementi di queste lotte alla costruzione di un partito delimitato programmaticamente e organizzativamente. Un partito separato (cioè distinto dalle «masse») e integrato nelle lotte delle masse. Questa è la condizione, sostiene Lenin, per elevare strati sempre più ampi della classe al livello dell'avanguardia.
Ecco cosa significa portare la coscienza socialista «dall'esterno»: ed ecco perché i rivoluzionari non possono rinunciare a questo compito.

 

 

Note

(1) La registrazione video dell'assemblea può essere vista sul sito web del Pdac https://www.partitodialternativacomunista.org/video

(2) F. Ricci, Lenin e il partito bolscevico, edizioni Rjazanov, 2024. Il libro è disponibile presso le sezioni del Pdac e nelle principali librerie fisiche e online.

(3) V.I. Lenin, Che fare?, (1902), in Opere complete, Editori Riuniti, 1958, vol. 5.

(4) Questa affermazione apre gli "Statuti dell'Associazione internazionale dei lavoratori", redatti da Marx ed Engels nel 1864, in Prima Internazionale - Lavoratori di tutto il mondo, unitevi! Indirizzi, Risoluzioni, Discorsi e Documenti, a c. di M. Musto, Donzelli editore, 2014, p. 219.

(5) K. Marx, F. Engels, L'Ideologia tedesca, 1845, Bompiani, 2011, p. 391. L'intero passaggio recita: «Le idee della classe egemonica sono, in ogni tempo, le idee egemoniche. Ciò significa che la classe che rappresenta la potenza materiale dominante della società è, al tempo stesso, la sua potenza spirituale dominante. La classe che detiene gli strumenti della produzione materiale detiene per ciò stesso, al contempo, gli strumenti della produzione intellettuale, e così nel complesso risultano ad essa sottomesse le idee di quanti sono privi degli strumenti della produzione intellettuale».

(6) K. Marx, F. Engels, Il Manifesto del Partito Comunista, Bompiani, 2009, p. 265.

(7) ibidem.

(8) V.I. Lenin, Un passo avanti e due indietro, 1904, in Opere Complete, Editori Riuniti, 1959, vol. 7, p. 253.

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