Lavoratrici: doppiamente oppresse nel capitalismo
Non basta un giorno senza violenza
Tutta una vita senza violenza!
di Laura Sguazzabia (*)
Il fenomeno dell'oppressione femminile, della discriminazione e della disuguaglianza è ben radicato nella società capitalistica: le donne sono da sempre marginalizzate nel lavoro e nella vita sociale/politica/sindacale allo scopo di relegarle tra le mura domestiche. Oggi tuttavia assistiamo ad una netta crescita del fenomeno che rende urgente affrontare il problema.
Il capitalismo, in crisi ormai da anni, nell'estremo tentativo di autoconservarsi, si muove da tempo secondo la regola del "profitto ad ogni costo": non avendo più bisogno delle donne nell’ambito produttivo, le spinge ulteriormente ai margini, fino all’interno della casa, attribuendo loro soltanto un ruolo riproduttivo e di cura cui non riesce più a far fronte. Nella battaglia per la propria sopravvivenza e nel tentativo di mantenere l'ordine in cui una classe domina sull'altra, la violenza sulle donne diventa uno strumento centrale e funzionale al raggiungimento di questi obiettivi.
Nei Paesi in via di sviluppo le donne subiscono soprusi e violenze solo per il fatto di essere donne: vivono in miseria, economicamente dipendenti da mariti che spesso non hanno scelto, private dei diritti civili e umani, mutilate, sfregiate, rapite e violentate, uccise. Nei Paesi occidentali le donne vivono una condizione di discriminazione e di disuguaglianza per violenza pari a quella del resto del mondo, nella illusoria e pericolosa convinzione però di essere libere.
La svolta del 25 novembre
La questione dell’oppressione femminile ha subito storicamente “alti e bassi”. Tuttavia, l'anno che ci siamo lasciati alle spalle è stato fortemente connotato al femminile, per la reazione che le donne hanno saputo organizzare: dall'Egitto alla Siria, dal Brasile alla Spagna, dall'India all'Italia, sono giunti molti esempi di donne che hanno lottato, combattuto, manifestato per l'affermazione dei loro diritti e nella speranza di costruire un futuro migliore per sé e per le altre. Queste donne hanno testimoniato, con la loro vita in molti casi, che non è pensabile un mondo diverso che non tenga conto dell’universo femminile.
In Italia, il 25 novembre (giornata internazionale contro la violenza sulle donne) è stato un momento particolare, di risveglio della lotta femminile, seppure con tutti i limiti che in altre occasioni abbiamo evidenziato. A dispetto dello scarso appoggio sindacale, il cosiddetto “sciopero delle donne” ha ricevuto una adesione inaspettata, con motivazioni, come si evince dai comunicati e dai volantini, spesso “rivoluzionarie”: le donne italiane della classe lavoratrice, le donne immigrate, le studentesse, le disoccupate, le casalinghe che hanno aderito all’iniziativa, hanno compreso quanto caro sia il prezzo della crisi per loro e quanto pesi massimamente sulle loro spalle. Hanno affermato con coraggio, e spesso senza alcuna tutela, la loro volontà di uscire dall’isolamento culturale, sociale e politico in cui le diverse manovre governative per affrontare la crisi, le stanno spingendo.
Per un 8 marzo di lotta
Manca poco ormai alla scadenza dell’8 marzo, giornata mondiale delle donne. Storicamente questa giornata è stata sempre connotata da richieste di miglioramento della condizione femminile: dal divorzio all’aborto, dal lavoro alla violenza, l’8 marzo è il momento per le donne di alzare la voce davanti ai luoghi del potere. Quest’anno la storica data si prepara in Italia su basi rinnovate: l’eredità del 25 novembre va rilanciata e spinta oltre, su proposte che tengano conto del nuovo ruolo cui la donna è chiamata nel capitalismo in crisi. Sul modello delle donne brasiliane e spagnole,
- proponiamo la creazione di un coordinamento di lotta delle proletarie italiane che si muova su punti chiari per rivendicare un pieno impiego contro ogni flessibilità e precarizzazione, salari uguali per uguali mansioni, controllo delle lavoratrici sui tempi e sugli orari di lavoro, nonché sul "rischio zero" negli ambienti di lavoro, un'istruzione di massa e pubblica senza discriminazioni di classe e secondo le vere inclinazioni di ognuna; per il mantenimento e il potenziamento dei servizi pubblici a supporto delle donne, come asili nido, lavanderie e mense sociali di quartiere, centri per anziani e disabili, consultori e ambulatori pubblici diffusi nel territorio;
- proponiamo iniziative territoriali e nazionali che affermino questi punti quali basi minime per sottrarre le donne al doppio lavoro forzato di cura e per liberare il loro tempo per le attività politiche, sindacali, culturali;
- proponiamo momenti di formazione e di istruzione che siano rivolti tanto alle donne nell’accrescimento della loro consapevolezza, quanto agli uomini nello sviluppo di un’altra sensibilità e di una nuova cultura.
Non da sole
E’ necessario e indispensabile che gli uomini della classe lavoratrice si uniscano in questa lotta come in un unicum non divisibile, come il cordone che in piazza Tahir nell’agosto 2013 ha protetto le manifestanti egiziane da quanti volevano “convincerle” a tornare a casa: un segnale fortissimo di solidarietà di classe, e non invece la dimostrazione che da sole non sia possibile. Le spire del capitalismo agonizzante stringono la classe lavoratrice sempre più saldamente, aumentando il divario tra essa e la classe dominante ed inasprendone sempre più le condizioni di vita. Oppressione non è di per sé sinonimo di donna, ma di proletariato. E’ urgente quindi che anche i mariti, i figli, i fratelli, i padri, se non vogliono rendersi complici di questa maggiore oppressione delle donne, partecipino attivamente ed uniscano le lotte contro il comune nemico. Come ebbe a dire un uomo più consapevole di altri della situazione di oppressione del capitalismo sulla classe lavoratrice: “PROLETARI E PROLETARIE DI TUTTO IL MONDO UNITEVI!”.
(*) resp. Commissione donne Pdac