Partito di Alternativa Comunista

Elezioni di giugno

Elezioni di giugno
LA SINISTRA GOVERNISTA NON HA PRESENTE
NE' FUTURO.
RIPARTIAMO DALLE LOTTE OPERAIE,
DA UN PROGETTO COMUNISTA
 
 
di Francesco Ricci
 
 
Il dato più interessante delle analisi del 6 e 7 giugno che si stanno facendo a sinistra non sta nelle spiegazioni che vengono fornite del voto ma nel metodo usato per l'indagine. Nessuno tra i commentatori impiega un metro di classe né per misurare la realtà né - di conseguenza- per avanzare una prospettiva.
E' significativo che tutti si accostino ai dati elettorali come se fossero lo specchio fedele della realtà e non invece, come spiegava Lenin, lo specchio deformato della realtà di classe. Dimostrando quanto alto sia il grado di cretinismo parlamentare introiettato, anche le formazioni che si definiscono "rivoluzionarie" si limitano ad analizzare percentuali e voti come se, in definitiva, l'unico sbocco possibile della politica (compresa quella "rivoluzionaria") fossero i numeri elettorali e fosse quello il terreno su cui si misurano i rapporti di forza tra le classi.
Adottando quel metodo non si capisce l'esito del voto per le europee. Veniamo da mesi di crescita delle lotte in tutta Europa: milioni di lavoratori nelle piazze dalla Grecia alla Francia, dal Portogallo all'Italia (che pur essendo il punto più arretrato, per ora, ha conosciuto mobilitazioni che non si vedevano da anni): eppure il voto europeo marcia in una apparente direzione opposta.
Proviamo allora ad accostarci alle cifre con lenti di classe e a fare alcune prime osservazioni.  
 
GUARDANDO I NUMERI CON LENTI DI CLASSE
1) Abbiamo un calo generale dei partiti di centrosinistra che sono al governo o hanno governato in tempi recenti o comunque governano localmente, quelli che il manifesto e molti a sinistra chiamano impropriamente "partiti socialdemocratici" e che sono invece ormai da anni partiti liberali: la Spd tedesca, il Labour Party britannico, il Partito Socialista francese, Il Psoe di Zapatero, ecc. A questo calo non corrisponde nessuna avanzata dei partiti liberali di centrodestra, che pure governano o hanno governato in tempi recenti. L'esempio più evidente è l'Italia dove se il Pd perde quattro milioni di voti, il Pdl ne perde circa tre e vince decisamente alle amministrative non per una crescita dei voti (la stessa Lega, in crescita, prende "solo" 100 mila voti in più) ma perché gli avversari hanno un calo anche maggiore.
2) Gli unici partiti che crescono realmente (cioè anche in voti assoluti e non solo nelle percentuali) sono principalmente i partiti della destra razzista (si pensi al Bnp britannico, al 6%), i partiti populisti. Cioè le forze che in qualche modo sono percepite come estranee alle politiche di sacrifici con cui tutti i governi padronali, di centrodestra e centrosinistra, stanno cercando di far pagare la crisi alle masse popolari; forze che appaiono credibili nella loro proposta "anti-sistema" (anche quando magari sono al governo, vedi la Lega di Bossi) perché indicano facili bersagli (in genere gli immigrati) su cui scaricare le responsabilità della crisi devastante.
Ma anche in questo caso non è ancora, salvo eccezioni, una ondata di masse elettorali verso destra. L'unica vera ondata di massa elettorale è verso l'astensione. Ora, tenendo conto che in un Paese come la Francia, che ha conosciuto in questi mesi le più grandi mobilitazioni degli ultimi decenni, l'astensione raggiunge il 60%, se ne deduce che non si tratta -come affermano le solite analisi pseudo-sociologiche- di una "crisi della politica" ma piuttosto della somma di masse di lavoratori privi di un riferimento politico credibile e di settori corposi della piccola borghesia e di nuovo sotto-proletariato che talvolta il riferimento lo trovano, classicamente, nella demagogia reazionaria e razzista dell'estrema destra. Un'estrema destra che infine diventa spesso catalizzatrice dello scontento anche per settori di operai privi di una loro forza politica.
3) La dinamica analizzata sopra è causata, in primo luogo, dall'assenza di una credibile direzione del movimento operaio. Difatti alla crisi profonda della socialdemocrazia (cioè la sinistra governista di Rifondazione, Pdci, e dei loro omologhi europei, cioè le forze che teorizzano la possibilità di governare il capitalismo "diversamente", in alleanza con le forze liberali borghesi) non corrisponde l'emergere di una direzione alternativa nella cosiddetta estrema sinistra.
La crisi della socialdemocrazia è strutturale, cronica, storica, come avevamo osservato già dopo il crollo dell'Arcobaleno nell'aprile 2008. I dirigenti di Prc e Pdci, soprattutto, si illudevano che si trattasse di una parentesi che poteva in qualche modo essere chiusa con queste elezioni. Di qui l'investimento gigantesco -anche in termini finanziari, con milioni spesi in pubblicità elettorale su tutti i mass-media. Il mancato raggiungimento del quorum alle europee è un colpo pesantissimo per le illusioni del gruppo dirigente che, costruito attorno agli ex ministri Ferrero e Diliberto, responsabili di tutte le politiche anti-operaie del centrosinistra negli ultimi anni, cercavano di presentarsi come le guide di una nuova sinistra "anticapitalista". Ma il problema non è solo lo sbarramento alle europee alzato poco prima del voto al 4%: Rifondazione e Pdci escono anche da decine di amministrazioni perché non raggiungono nemmeno il 3%. E' appunto l'idea che il capitalismo possa essere governato "a sinistra" a uscire sconfitta dalla realtà della crisi del capitalismo ancora prima che dalle urne. E' facile prevedere che nelle prossime settimane assisteremo ad altre fughe di pezzi degli apparati dirigenti: i casi Zipponi (in poche settimane passato da membro della segreteria del Prc a coordinatore dell'area Vendola e infine fuggito, in campagna elettorale, direttamente con Di Pietro per garantirsi un posto) non rimarranno isolati.
A sinistra della sinistra governista non emergono nelle urne in generale direzioni alternative che risultino oggi credibili a settori di massa. Il Nuovo Partito Anticapitalista (Npa) di Besancenot in Francia, che al di là del nome si presenta con un programma riformista simile a quello di Rifondazione e che mirava a coagulare una indistinta sinistra genericamente "contro", prende il 4,8% (ma in virtù del crollo dei votanti) mancando completamente l'obiettivo dichiarato delle "due cifre". Le rare eccezioni confermano la regola e sono rappresentate (v. Portogallo) da forze che sono state (o sono apparse) come estranee alle responsabilità di governo.
4) In Italia si conferma uno spazio elettorale assai modesto, per quanto non irrilevante politicamente, per l'estrema sinistra, cioè per le formazioni a sinistra dell'ex Arcobaleno. E' uno spazio elettorale di circa mezzo punto percentuale anche nelle elezioni amministrative, dove a prevalere è il voto considerato "utile", cioè dato ai candidati che hanno possibilità di vincere e governare.
Circa mezzo punto è il risultato del Pcl alle europee (unico partito presente in virtù di un piccolo imbroglio di cui abbiamo già detto, favorito dai dalemiani del Pd per facilitare Vendola e non far raggiungere il quorum a Rifondazione e Pdci). Tale è pure il risultato raggiunto dalle liste per le amministrative di Pcl, Sinistra Critica e Pdac (presente alle comunali e alle provinciali in diverse città, dalla Lombardia alle Marche, da Latina a Salerno, a Barletta). Le liste dei tre partiti presenti a sinistra del Prc, pur disponendo di una ben diversa visibilità mediatica (il Pcl ha goduto di un mese di campagna per le europee sulle tv), prendono ciascuna esattamente le stesse cifre elettorali, attorno al mezzo punto, salvo qualche punta verso l'1% nelle regioni "rosse" o laddove il Prc si presentava già al primo turno in blocco col Pd, lasciando un più ampio spazio a sinistra.
Un risultato omogeneo che conferma come una presentazione comune alle europee, pur nel rispetto delle tante diversità, così come avevamo proposto, avrebbe consentito di rendere visibile un'area a sinistra della sinistra governista. Il rifiuto tanto di Sc come del Pcl, che da anni millantano numeri e forze che non hanno, ha impedito una reale e visibile presentazione nazionale di quest'area alle europee (il Pcl è presente solo in alcune regioni mentre manca in altre dove è presente Sc o il Pdac; e ha avuto difficoltà persino a mettere insieme i nomi per completare le liste), forse soddisfando l'egocentrismo di qualche leader assetato di salotti tv ma certo non svolgendo alcuna funzione politicamente utile (imbarazzante, a questo proposito, il proclama di Ferrando di bilancio dei magri numeri elettorali, dal titolo: "In un campo di rovine, il Pcl cresce", roba in puro stile Zombie di Romero...).  
 
IL DIBATTITO SUL CHE FARE
Subito dopo il fiasco del partito che ha contribuito a far nascere (Sinistra e Libertà) da una scissione del partito che ha diretto verso il baratro (Rifondazione) è ricomparso Fausto Bertinotti. E come se nulla fosse, come sempre ha ripreso a indicare la via, con l'aria di uno che la sa lunga. La nuova formula (la dodicesima o tredicesima negli ultimi due anni, essendo le precedenti tutte sperimentate e fallite), a quanto si capisce traducendo in italiano le consuete acrobazie verbali, è quella di un "nuovo partito" della "sinistra" (una sorta di partito laburista) che dovrebbe raggruppare Prc, Pdci (o chi tra loro ci sta), Sl, radicali, Idv attorno ai dalemiani del Pd, avendo Fausto Bertinotti (ça va sans dire) come luminosa guida.
Una variante di questo progetto, articolata dal manifesto, prevede una sommatoria di Prc, Pdci, vendoliani di Sl, nonché Di Pietro e radicali (considerando per qualche strana ragione "di sinistra" anche i pannelliani che pure hanno guidato varie battaglie reazionarie in questi ultimi anni, non ultima quella contro i sindacati): una sommatoria che dovrebbe costituire un polo dialogante con il Pd, avendo il manifesto (che te lo dico a fare?) come bussola.
Ferrero (nel presentare formali dimissioni dalla segreteria, che saranno respinte nel prossimo Cpn) ha avanzato un progetto simile (un coordinamento in funzione di un polo) ma limitando la sommatoria alle forze di sinistra e proclamando una presunta alterità rispetto al Pd: lo stesso Pd con cui Ferrero ha fatto alleanze alle amministrative e con cui continuerà a governare in diverse città d'Italia (seppure meno che in passato, visto il disastro elettorale che ha portato in decine di città il Prc sotto il tre per cento).
Cannavò (Sinistra Critica) ne fa più che altro una questione di gruppi dirigenti che dovrebbero dimettersi: in realtà (a parte il fatto che di quei gruppi dirigenti ha fatto parte, se non ricordiamo male, anche Cannavò, quando offriva con Turigliatto un sostegno "critico" o "distante" a Prodi) è davvero mistificante ridurre il problema ai gruppi dirigenti riformisti, rimuovendo il vero nocciolo della questione, e cioè la necessità di una politica di indipendenza di classe come base della costruzione di un partito comunista rivoluzionario con influenza di massa. Ma anche qui la "dimenticanza" non è casuale, visto che il progetto di Sc è (o era, visto lo stallo evidente) l'imitazione in Italia del progetto del Npa francese, cioè l'unione sotto il nome di "anticapitalisti" di riformisti e rivoluzionari. Altre varianti sullo stesso canovaccio (federazione, confederazione, coordinamento, ecc.) nascondono progetti nella sostanza identici che fanno leva su un legittimo desiderio di riscossa dalla crisi dei numeri, da tanti ingenuamente cercato nella "unità della sinistra"; progetti che rimuovono la ragione reale della crisi -e cioè la subalternità della sinistra alla borghesia, ai suoi partiti e ai suoi governi e giunte; progetti che ripropongono insomma, per vie diverse, un orizzonte di collaborazione di classe e di governo con la borghesia, fallito infinite volte, senza eccezioni, negli ultimi due secoli.    
 
RIPARTIRE DALLE LOTTE: LI' E' LA FORZA DEI LAVORATORI
Colpisce, lo dicevamo all'inizio, lo ripetiamo qui, nella babele di formule astratte di "rilancio della sinistra", l'assenza di ogni riferimento alle lotte operaie reali e presenti in Europa e al fermento che ha portato milioni in piazza in Italia dall'autunno ad oggi. La lettura tutta elettoralistica del voto è peraltro una conseguenza dell'ottica con cui i gruppi dirigenti della sinistra riformista, nelle loro diverse articolazioni, affrontano la crisi del capitalismo e la ripresa delle lotte che ha riacceso l'Europa. Il punto per loro non è quello di sviluppare quelle lotte, dall'opposizione di classe, nella direzione di una alternativa di potere dei lavoratori: no, il punto per loro è, al solito, come sommare cifre e percentuali per avere la possibilità di contrattare con la borghesia cosiddetta "progressista" dei compromessi più o meno "dinamici" che riaprano le porte dei sottoscala del potere.
Ma questi geniali strateghi di sconfitte hanno di fronte un ostacolo reale: lo scontro di classe, lo vogliano o meno, è destinato ad accentuarsi in ragione dell'accentuarsi della crisi economica del capitalismo, e i loro progetti, le formulette algebriche con cui si ripresentano periodicamente saranno nuovamente cancellate dalla lavagna della lotta di classe.
Non si tratta allora di trovare nuove alchimie e diciture sotto cui mascherare la collaborazione di classe ma far divampare lo scontro, svilupparlo in direzione di una alternativa rivoluzionaria che certo non verrà dalle elezioni borghesi con cui, ogni qualche anno, si sceglie quale tra i poli dell'alternanza governerà il capitalismo. La classe operaia -lo ha dimostrato anche in questi mesi- ha una forza immensa da contrapporre alla borghesia e ai suoi governi che cercano di imporre i costi della crisi ai lavoratori e alle masse popolari. Una forza immensa che non si misurerà nelle urne ma nelle piazze.
E' con questo spirito che Alternativa Comunista, nella modestia delle sue forze (siamo tra i pochi a non fare pericolosi giochi di fantasia coi numeri), ha partecipato alle amministrative: per propagandare un programma rivoluzionario, per raccogliere nuove energie militanti attorno all'unico progetto che -a fronte della crisi storica del riformismo- appare realistico per quanto difficile e lungo: la costruzione di quel partito comunista non riformista che ancora manca, in Italia e in Europa.

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