Esiste un solo mezzo per porre fine allo sfruttamento del lavoro da parte del capitale: abbattere il capitalismo, quindi abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione e sostituirla con la proprietà collettiva. In tempo di crisi, le contraddizioni del capitalismo si fanno sentire in modo più acuto: disoccupazione di massa, miseria, guerre. Non è possibile mettere pezze a un sistema economico che presenta falle ovunque e che mostra chiaramente il proprio stato di decomposizione avanzato. L'abbattimento del capitalismo è quindi il fine verso cui deve essere volto l'intervento dei comunisti nel sindacato, nella consapevolezza che "i sindacati non sono un fine in sé, ma solo semplici strumenti lungo la strada che conduce alla rivoluzione proletaria" (Lev Trotsky, Programma di transizione).
Nei periodi - come il nostro - in cui la crisi si acuisce, si restringono gli spazi di democrazia sindacale e i grandi gruppi capitalistici sono sempre meno disposti ad accettare qualsiasi forma di "autonomia" dei sindacati dai loro interessi: ai sindacati viene richiesto di "rimboccarsi le maniche" e di diventare, in cambio di qualche briciola, gli agenti politici della borghesia. E' quello che sta accadendo anche nel nostro Paese: non solo i "sindacati gialli" Cisl e Uil, ma ora anche la burocrazia che dirige la Cgil, per voce di Epifani, dopo aver battuto i pugni per essere stata esclusa dai tavoli di concertazione, torna a indossare i panni di guardia del corpo dei profitti capitalistici. Lo stesso Presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia (settembre 2009), lo ha dichiarato con chiarezza: la burocrazia Cgil, quella della Fiom inclusa (Rinaldini), si sta comportando benissimo ed è grazie ad Epifani se milioni di licenziamenti non si sono ancora tramutati in un'esplosione sociale di vasta portata come in altri Paesi. In particolare, lo stretto legame tra Stato, grande capitale e organizzazioni sindacali trova espressione soprattutto nell'utilizzo su ampia scala dei cosiddetti "ammortizzatori sociali" (in primo luogo la cassa integrazione, che, ormai anche agli occhi dei lavoratori, è sempre più spesso l'anticamera della disoccupazione), che svolgono di fatto il ruolo di "ammortizzatori del conflitto".
Ciò non toglie che è dovere di ogni comunista intervenire nei sindacati. Anzi, come spiega bene Trotsky nello scritto sui sindacati nell'imperialismo, oggi "l'intervento nei sindacati (...) diventa in un certo senso più importante che mai per un partito rivoluzionario (...) la posta in gioco è la lotta per l'influenza sulla classe operaia". Del resto la necessità che i rivoluzionari intervengano nei sindacati - finanche nei sindacati "reazionari", era già stata posta ed elaborata da Lenin e ribadita dall'Internazionale comunista delle origini, con lo scopo di sottrarne ampi settori all'influenze delle burocrazie dirigenti.
E' a partire da questo patrimonio teorico, tattico e programmatico che il Partito di Alternativa Comunista - consapevole delle proprie poche, ma compatte, forze - ha elaborato e applicato una tattica di intervento sindacale che vede impegnati attivisti del Partito sia nella Cgil (la principale confederazione, i cui vertici sono legati al PD) sia nel cosiddetto sindacalismo di base (Cub-RdB, Conf. Cobas, SdL, Slai Cobas). Più in particolare, nella Cgil gli attivisti del PdAC si sono collocati nella Rete 28 aprile (la componente di sinistra in Cgil, che al prossimo congresso nelle intenzioni del leader Cremaschi dovrebbe fare blocco con le burocrazie di Fiom e Funzione pubblica). In questa collocazione, la nostra battaglia si è fin dall'inizio articolata nella prospettiva della costruzione di un sindacato di classe, contro la linea concertativa e di collaborazione di classe della maggioranza, ma anche per una svolta nella Rete 28 aprile stessa in termini programmatici e organizzativi. I punti essenziali a cui si è da sempre ispirata la battaglia degli attivisti del PdAC in Cgil sono riassunti in un documento elaborato come contributo al dibattito congressuale nella Rete 28 Aprile dai nostri compagni insieme ad altri attivisti della Rete e diffuso lo scorso agosto in occasione di un incontro nazionale della Rete. Il testo è consultabile a questo indirizzo: www.areaclassistacgil.org
Per quanto riguarda il sindacalismo di base, i militanti del nostro Partito sono attivi in particolare (ma non esclusivamente) nella Confederazione Cub (la principale confederazione a sinistra della Cgil, di cui la parte maggioritaria è organizzata nel pubblico impiego come RdB-Cub). La Confederazione Cub ha conosciuto di recente un processo di scomposizione che ha portato a una frattura: la parte maggioritaria della Confederazione ha deciso di intraprendere un processo di unificazione con altri settori del sindacalismo di base (SdL anzitutto, ma in prospettiva anche lo Slai Cobas), mentre una parte, minoritaria, è rimasta al di fuori di questo progetto. Nella Cub l'intervento degli attivisti di Alternativa Comunista si caratterizza per una battaglia per l'unificazione del sindacalismo di base, per la costruzione del sindacato di classe sulla base di una piattaforma rivendicativa anticapitalista, per la democrazia interna. In particolare, nella decisione di partecipare alla costituente del nuovo sindacato che nascerà dalla fusione tra i settori maggioritari della Cub e SdL, i nostri attivisti hanno sottoscritto e condiviso un contributo diffuso da attivisti Cub di diverse categorie in occasione dell'assemblea nazionale costituente dello scorso maggio. Il testo si può leggere qui: www.sindacatodiclasse.org/documenti.htm
Il nostro impegno per la costruzione di un sindacato di classe e di massa nel nostro Paese continuerà, nella convinzione che sia necessario realizzare il coordinamento e l'unità d'azione del sindacalismo di base e dei settori classisti in Cgil. Oggi più che mai - di fronte agli attacchi sempre più pesanti del padronato, di fronte al licenziamento di milioni di lavoratori, di fronte all'inasprimento delle misure repressive nei confronti della classe lavoratrice - occorre battersi per sottrarre i lavoratori dal peso delle burocrazie sindacali e per la costruzione di un sindacato che sia espressione della contrapposizione delle masse lavoratrici contro il capitale (cioè basato sull'indipendenza di classe dalla borghesia, dal suo Stato, dai suoi governi); che faccia della lotta ad oltranza lo strumento privilegiato del suo operare; che miri al rovesciamento degli attuali rapporti di forza, a partire dalla difesa degli interessi della classe lavoratrice. A questo scopo, fin da subito occorre coordinare e sviluppare in senso anticapitalistico le lotte dell'autunno.