Partito di Alternativa Comunista

Palestina: l'arma della fame nel genocidio di Gaza di Soraya Misleh*

Palestina: l'arma della fame nel genocidio di Gaza

 

 

 

di Soraya Misleh*

 

 

Mentre in questi giorni sono in corso azioni di protesta in molte università italiane per chiedere la rottura di ogni rapporto di collaborazione con lo Stato coloniale e genocida di Israele – azioni che sosteniamo pienamente e che crediamo dovrebbero diffondersi in ogni ambito di studio e lavoro – continua l’ipocrita teatrino della diplomazia Usa che finge di preoccuparsi degli aiuti umanitari ai palestinesi di Gaza ma continua ad armare e finanziare l’esercito di Israele. Ma l’ipocrisia non è solo del governo statunitense: anche i governi che si presentano come «di sinistra» non rompono le relazioni economiche, militari e diplomatiche con Israele: è il caso, ad esempio, del governo di Lula in Brasile. A tal proposito pubblichiamo qui un articolo della nostra compagna palestinese Soraya Misleh, giornalista e militante del Pstu in Brasile [Nota della redazione].

 

Espulsi dalla loro terra, senza ospedali né medicine, con le loro case distrutte, senza cibo, acqua, elettricità e affrontando i proiettili e i bombardamenti sionisti anche quando cercano di procurarsi una manciata di cibo. Questa è la tragica realtà della popolazione palestinese della stretta striscia di Gaza, che da circa cinque mesi vive un genocidio per mano dello Stato terrorista di Israele.

 

Massacro

Il «massacro della farina» del 29 febbraio, che ha scioccato il mondo, fa parte dell'uso sionista dell'arma della fame per portare avanti il suo progetto genocida e di pulizia etnica. Nel nord di Gaza, i palestinesi affamati hanno circondato uno dei pochi convogli umanitari e sono stati attaccati. Più di 100 uomini, donne e bambini sono stati uccisi e circa mille feriti. Il loro crimine è stato cercare di non soccombere alla fame.
Nella sentenza del 26 gennaio, che ha dichiarato plausibile l'azione del Sudafrica contro Israele per il crimine di genocidio, la Corte internazionale di giustizia (Cig) ha presentato la garanzia di accesso umanitario come una delle misure. Tuttavia, tale garanzia è stata ulteriormente ridimensionata dopo tale ordinanza. Israele continua ovviamente a ignorare solennemente tutte le sentenze della Corte.

 

Blocco sionista

Quindicimila tonnellate di cibo sono bloccate al confine egiziano, con i coloni sionisti in prima linea per impedire l'ingresso degli aiuti umanitari. Sono arrivati persino a organizzare «rave» per passare il tempo, mentre migliaia di persone muoiono di fame.
Negli ultimi giorni sono arrivati 400 sacchi di farina, qualcosa come un sacco per ogni mille o più persone. La disperazione dei palestinesi di avere accesso a queste briciole è stata l'occasione per le forze di occupazione israeliane di commettere un nuovo massacro, come parte del genocidio. L'intero settore che permetteva l'autosostentamento in mezzo al criminale blocco sionista di 17 anni della stretta striscia, dalla pesca agli orti, alla frutta e al pane, è stato distrutto negli ultimi cinque mesi. Il pascolo e il foraggio per animali sono diventati le uniche possibilità di cibo. L'acqua inquinata e salata viene usata per dissetarsi.

 

Come nei campi di concentramento

Le immagini sono orribili. Bambini scheletrici che ricordano le scene dei campi di concentramento della Germania nazista evidenziano una realtà che l'umanità non dovrebbe mai accettare di ripetere. «Mai più per il mondo intero», come sottolineano migliaia di ebrei antisionisti nelle strade degli Stati Uniti, dell'Europa e del Brasile.
Tra gli oltre 13.000 uccisi nel genocidio, 16 bambini sono morti di fame negli ultimi giorni a Gaza, secondo l'agenzia Anadolu. Tra questi, Yazan al-Kafarneh, di appena dieci anni, morto lunedì 4 marzo dopo dieci giorni nell'ospedale di Kamal Adwan, nel nord della Striscia.
Alla macabra lista si aggiungono anche neonati come Mennatallah Abu Amerah (sei mesi), Sahar al-Zebdaa (40 giorni), Khaled Ahmed Hijazi (due anni e mezzo), Mohammed al-Zaygh (45 giorni), Mahmoud Ghaben (un anno), Ibrahim al-Batesh (tre anni), Anwar al-Khoudary (nove mesi), tra gli altri. Questi non sono numeri, sono vite.

 

Catastrofe

E altre migliaia sono a rischio. Secondo l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao), i livelli di insicurezza alimentare sono catastrofici per l'intera popolazione di Gaza: circa 2,4 milioni di palestinesi, il 40% dei quali sono bambini.
Un bambino su sei è gravemente malnutrito. Vale la pena ricordare che la realtà nella stretta striscia era già una drammatica crisi umanitaria, a causa del criminale blocco sionista imposto negli ultimi 17 anni, oltre ai massicci bombardamenti. Nel 2015, le Nazioni Unite hanno dichiarato che Gaza sarebbe stata inabitabile entro cinque anni. Il genocidio commesso da Israele approfondisce questo fossato a livelli allarmanti.

 

Briciole per Gaza, armi per Israele

Le immagini del «massacro della farina» accelerano l'isolamento internazionale dello Stato sionista. Nel tentativo di contenere i danni, gli Stati complici iniziano a far cadere briciole sui palestinesi. L'Egitto ne ha paracadutate 60 tonnellate. Il 5 marzo, il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite ha consegnato una quantità sufficiente a sfamare forse 20.000 persone (sei tonnellate), con l'aiuto della Giordania. In tempi più recenti, la Giordania aveva già compiuto azioni del genere. In una di queste, insieme alla Francia, gli aerei hanno gettato in mare aiuti umanitari. A quanto pare non valeva nemmeno la pena di accendere il Gps per la vita dei palestinesi. Gli affamati hanno cercato di salvare il cibo nuotando e hanno cercato di soddisfare la loro fame con qualsiasi cosa potessero, anche quando le confezioni erano intasate dall'acqua di mare.
Gli stessi Stati Uniti hanno iniziato a inviare alcuni aiuti per via aerea, pur continuando a fornire le loro armi assassine allo Stato di Israele. Un'azione mediatica per cercare di coprire le sue mani sporche di sangue. Ma il popolo palestinese non dimentica e non si lascia ingannare. La maschera dei nemici della causa palestinese, come evidenziato dal rivoluzionario palestinese Ghasan Kanafani, è definitivamente caduta.
Il declino dell'imperialismo, la cui crisi si sta approfondendo, sta avanzando. Il mantenimento del sostegno sta diventando difficile grazie all'eroica resistenza palestinese, che ha dato vita a una gigantesca solidarietà internazionale.
La causa palestinese, simbolo delle lotte contro l'oppressione e lo sfruttamento in tutto il mondo, ha messo in discussione qualsiasi complicità storica che ha permesso a Israele di sentirsi libero di perseguire la sua «soluzione finale».

 

Genocidi: rompere gli accordi con Israele

È in questo contesto che Lula [punto di riferimento per la sinistra riformista internazionale, ndt] ha alzato i toni in relazione al massacro perseguito da Israele. In un'intervista rilasciata in Etiopia lo scorso 18 febbraio, durante la sua partecipazione al IV Vertice dell'Unione Africana, ha sottolineato che ciò che sta accadendo a Gaza non è una guerra ma un genocidio: «Quello che sta accadendo nella Striscia di Gaza con il popolo palestinese non è esistito in nessun altro momento storico. In realtà, è esistito. Quando Hitler decise di uccidere gli ebrei».
L'aggressione e l'umiliazione che ne sono seguite, da parte dei leader dello Stato di Israele e delle sue entità in Brasile - accompagnate, vergognosamente, dal coro dell'oligopolio mediatico e dei bolsonaristi - sono state tali da costringere Lula a convocare l'ambasciatore brasiliano a Tel Aviv per tornare a consultarsi.
Dopo la dichiarazione di Lula in Etiopia, lo Stato razzista e coloniale di Israele è arrivato a dichiarare Lula «persona non grata» e a dire che «fa vergognare il Brasile». Lula non ha ritrattato la sua dichiarazione facendo uscire dal silenzio artisti, intellettuali e parlamentari. Artisti come Caetano Veloso e Chico Buarque hanno espresso il loro sostegno ai palestinesi.
Ora, per essere coerente, Lula deve interrompere definitivamente le relazioni economiche, militari e diplomatiche con lo Stato razzista di Israele ed espellere l'ambasciatore sionista dal Brasile, come chiedono migliaia di voci di solidarietà internazionale. Mesi prima, questo ambasciatore aveva già commesso l'affronto di entrare in Parlamento accompagnato dal suo collega genocida Bolsonaro e di incontrarsi con i suoi scagnozzi nel Congresso nazionale.

 

Accordi militari

Finora il Brasile ha annunciato l'intenzione di sospendere gli accordi militari (non di romperli, cioè di riprendere le relazioni con lo Stato coloniale e dell'apartheid a fronte di un cessate il fuoco). È urgente andare oltre, ponendo fine al vergognoso record acquisito negli ultimi 14 anni come quinto importatore di tecnologia militare sionista. Vale la pena ribadire che ciò è coerente con il riconoscimento del genocidio.
Il Brasile in particolare ha un debito storico con il popolo palestinese. Il diplomatico brasiliano Osvaldo Aranha, razzista ed eugenista convinto, presiedette la sessione speciale dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 29 novembre 1947, in cui raccomandò la spartizione della Palestina in uno Stato ebraico e uno arabo, delegando più della metà di quelle terre al progetto coloniale sionista. Un via libera alla pulizia etnica che è culminata nella Nakba (catastrofe palestinese la cui pietra angolare è la formazione dello Stato razzista di Israele il 15 maggio 1948).
L'orientamento era che il Brasile votasse a favore, preservando la sua alleanza con l'imperialismo emergente degli Stati Uniti. Ed è quello che ha fatto. Questa complicità, salvo una breve recrudescenza, non è mai cessata. Rompere accordi e relazioni significa iniziare finalmente a saldare questo debito storico, in risposta alla campagna centrale di solidarietà internazionale con il popolo palestinese, Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (Bds).

 

Resistenza

Oltre al ritardo di questa azione, è un errore cercare di giustificarla facendo riferimento solo al governo Netanyahu, come se non si avesse nulla a che fare con un progetto di Stato coloniale e razzista. Inoltre, si cerca sempre di difendere il fatto che si tratta di un genocidio con un argomento molto diseducativo: la confusione che un'azione di resistenza legittima sarebbe terrorismo.
Questo è stato ripetuto da molti sostenitori della dichiarazione di Lula che quasi si scusano per aver detto l'ovvio, nonostante le varie fake news sioniste sul 7 ottobre siano già state debitamente smentite. È necessario rifiutare l'ideologia che continua a equiparare la resistenza al terrorismo.

 

Israele e i crimini contro l'umanità: oltre 30.000 palestinesi uccisi da ottobre

Il «massacro della farina» è stato l'ennesimo scandalo di una lista infinita di crimini contro l'umanità che continuano a verificarsi. Tra questi, il bombardamento dell'ospedale Al Ahli del 17 ottobre 2023 e decine di altri.
Solo 12 dei 36 ospedali di Gaza sono parzialmente operativi e curano migliaia di feriti, donne incinte e malati in generale. Sono 50.000 le donne incinte che aspettano il loro turno per partorire in queste condizioni. Centottanta partoriscono ogni giorno e, quando necessitano di un parto cesareo, questo viene fatto senza anestesia.
Lo stesso vale per le migliaia di amputati dalle bombe genocide di Israele, molti dei quali sono bambini. Non ci sono medicine, né rifornimenti, né energia, né carburante. Manca tutto. Settantacinquemila feriti gravi affrontano il dolore in queste condizioni deplorevoli. La morte perseguita l'intera popolazione palestinese nella stretta striscia.
Una nuova fase della Nakba in corso si sta svolgendo sotto gli occhi del mondo, con la necessaria crudeltà insita in questo progetto che costituisce un crimine contro l'umanità. Solo negli ultimi cinque mesi sono stati uccisi più di 30.000 palestinesi, senza contare le migliaia di dispersi sotto le macerie.
Ma non saranno cancellati dalla carta geografica, come ha dimostrato la loro eroica resistenza per più di 75 anni. E chi non si mette dalla parte giusta della storia ora, in modo efficace e concreto, dovrà risponderne in seguito.

 

*Giornalista e attivista palestinese, militante del Pstu brasiliano

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