Partito di Alternativa Comunista

DOCUMENTO POLITICO NAZIONALE VII CONGRESSO

DOCUMENTO POLITICO NAZIONALE

 

Approvato dal VII Congresso Pdac

 

I nostri compiti politici nell’Italia del governo Meloni

 

La situazione politica italiana, nonostante un’ascesa in alcuni settori – pur molto importanti – della lotta di classe, è stata essenzialmente stabile fin dalle elezioni del settembre 2022, tenutesi poco dopo la conclusione del VI Congresso del nostro partito, il cui esito – la vittoria del centrodestra guidato da Giorgia Meloni – era stato ampiamente previsto. Nonostante la stabilità del governo e l’apparente calma che regna nello scenario politico italiano, le contraddizioni sociali all’interno del Paese hanno continuato ad aggravarsi e, anche grazie al riverbero delle questioni internazionali (Palestina in particolare), processi molecolari stanno attraversando i movimenti di opposizione al governo che si richiamano a una visione di classe (la cosiddetta «sinistra radicale», cioè riformisti e centristi) così come i sindacati «di base». Compito dei rivoluzionari è comprendere e cercare di sfruttare le possibilità aperte da queste contraddizioni e questi processi per rafforzare la costruzione del partito rivoluzionario in Italia.

 

Il governo Meloni e le sue politiche 

Giorgia Meloni aveva costruito la sua campagna elettorale nel 2022 su un discorso vagamente populista, di «opposizione» all’Unione europea e alle sue politiche e forte del fatto che Fratelli d’Italia era stata l’unica forza parlamentare a non partecipare al governo Draghi. Questo le aveva permesso di erodere il consenso che la Lega di Salvini si era assicurata nella tornata elettorale precedente nonché di avere un seguito anche in settori politicamente arretrati della classe lavoratrice, diventando così il perno del centrodestra. 
Tuttavia, una volta al governo, Giorgia Meloni e il suo partito hanno cambiato la loro propaganda e hanno assunto un profilo e una politica nei fatti europeista, cercando così di accreditarsi presso la grande borghesia italiana come forza responsabile di governo. Per questo, nonostante la genesi politica di Fratelli d’Italia (che vede le sue radici nel Msi neofascista), nonostante la simpatia e il supporto – anche elettorale – delle formazioni neofasciste per Fdi, il programma di governo di Giorgia Meloni è quello di una destra istituzionale, che punta a far leva su ideologie nazionaliste e spesso xenofobe e omofobe per restringere gli spazi democratici a favore della «governabilità» e della stabilità del sistema politico-istituzionale borghese, non a sovvertirlo in senso autoritario.  
In questo senso, la politica del governo Meloni non è altro che la continuazione della politica dei precedenti governi di centrodestra, con tutte le loro misure antioperaie, antiimmigrati, razziste e omofobe. Ma misure di questo tipo, seppure magari con una retorica differente, sono state applicate anche da tutti i governi di centrosinistra, che non hanno mai rappresentato una alternativa al centrodestra dal punto di vista della classe lavoratrice, avendo il Pd dimostrato a più riprese di essere molto più affidabile del centrodestra per servire gli interessi della grande borghesia. 
Anche il tanto discusso «Decreto sicurezza» (ex-Ddl 1660), proposta di legge volta a reprimere le lotte e che aveva assunto particolare importanza con la crescita delle lotte in solidarietà con la Resistenza palestinese contro il genocidio sionista, si pone nel solco di tutta una serie di leggi repressive approvate tanto dal centrosinistra (ricordiamo, ad esempio, il decreto Minniti) così come dal centrodestra, ed è la naturale evoluzione dei due decreti sicurezza varati da Salvini nel 2018 e 2019 mentre era al governo con il Movimento cinque stelle, che non sono mai stati messi in discussione durante gli anni in cui ha governato il Pd (prima con Conte e poi con Draghi). Se, quindi, l’opposizione a misure repressive come i decreti appena citati è indispensabile, queste misure non possono essere interpretate come misure che mirano a istituire un regime dittatoriale autoritario o direttamente fascista. Un conto è usare l’epiteto «fascista» come sinonimo di «repressivo» durante una manifestazione. Ma quando alcune forze politiche, come quelle della sinistra borghese o i riformisti (Prc, Pap ecc.), definiscono il governo Meloni «fascista» lo fanno per promuovere una «santa alleanza» elettorale, che priva la classe operaia di un programma classista, ne subordina le rivendicazioni alla «indispensabile» alleanza con la borghesia cosiddetta progressista, e, in ultima istanza, indebolisce la stessa lotta contro l’avanzata delle formazioni neofasciste che prosperano all’ombra del governo Meloni e che lo sostengono. 
Le forze dell’opposizione parlamentare sono forze completamente organiche alla borghesia e al suo sistema. Il Partito democratico ha ormai perso qualsiasi legame con la classe operaia ed è da tempo il partito della grande borghesia finanziaria, settore bancario in particolare. Mantiene un controllo sulla classe lavoratrice e sulle lotte attraverso la sua relazione privilegiata con la Cgil e attraverso la sua presenza in alcuni movimenti sociali, come quello delle donne e del clima, dove le direzioni politiche di organizzazioni come Non una di meno e Fridays for future ostacolano la radicalizzazione delle rivendicazioni e delle forme di lotta dei movimenti, accodandosi ai governi locali di centrosinistra. Anche dal punto di vista della politica estera, il Pd e Calenda appoggiano politiche molto simili a quelle del governo Meloni: sostengono l’aumento delle spese militari e il piano Rearm Europe della Von der Leyen; appoggiano le politiche della Nato; sostengono la parola d’ordine ipocrita dei «due popoli e due Stati» per la Palestina. Recentemente, dopo ben due anni di guerra, i dirigenti e alcune amministrazioni locali del Pd hanno rotto, in parte, le relazioni diplomatiche con Israele. È il risultato delle grandi mobilitazioni di questi mesi, ma si tratta di prese di posizioni ipocrite e di facciata: nei territori governati da Pd continuano le collaborazioni con i sionisti a vari livelli, dalle collaborazioni commerciali, logistiche e universitarie di Leonardo Spa (che arma i sionisti) fino alla presenza di industrie italo-israeliane (es la Tekapp) che sono parte attiva nello sterminio del popolo palestinese.
Il Movimento 5 stelle, persa qualsiasi pretesa antisistemica dopo le sue esperienze governative, si è ormai inserito organicamente nello schieramento di centrosinistra, candidandosi a occupare elettoralmente lo spazio «riformista»: non avendo mai avuto nessun legame con i lavoratori, avendo sempre voluto parlare indistintamente ai «cittadini», sta oggi cercando di costruirsi un nuovo seguito a sinistra del Pd attraverso l’intervento nei movimenti, in particolare quello che si è sviluppato negli ultimi mesi contro le politiche di riarmo, cercando di nascondere che Conte quando era al governo ha attuato politiche a difesa del grande capitale (a partire dall’approvazione dei già citati Decreti Salvini e dell’aumento delle spese militari). Non rappresentano nessuna alternativa reale al centrodestra e, anzi, con le loro politiche antioperaie favoriscono la crescita delle destre. 
L’opposizione rivoluzionaria al governo Meloni, così come alle forze dell’estrema destra istituzionale e ai gruppi neofascisti, parte dalla necessità dell’indipendenza politica della classe lavoratrice, della denuncia dei tradimenti della sinistra borghese e riformista, e dalla propaganda di un programma politico classista che proponga obiettivi rivendicativi e di lotta che facciano avanzare la coscienza della classe operaia e dei settori oppressi delle masse popolari verso la comprensione della necessità della lotta per il socialismo. 
Questo programma non può avere senso se non è strettamente legato alla condizione e alle lotte della classe operaia in Italia. 

La classe operaia e il panorama sindacale 

La classe lavoratrice italiana e il proletariato industriale hanno vissuto anni di pesanti attacchi – portati avanti da governi di centrodestra così come da quelli di centrosinistra. Riforma delle pensioni, Jobs act, flessibilità lavorativa, tagli al servizio sanitario nazionale e all’istruzione, tagli ai servizi e ai sussidi sociali, perdita di potere d’acquisto ecc. A tutto questo si devono aggiungere le chiusure di fabbrica, le delocalizzazioni, il ricorso alla cassa integrazione a tutto vantaggio dei padroni ecc. Tutte questi attacchi non hanno visto nessuna risposta da parte delle burocrazie sindacali confederali, che confermano pienamente il loro ruolo di freno alle lotte e principale strumento di stabilità del regime borghese in Italia, mentre i sindacati «di base» non sono riusciti a svolgere un ruolo significativo nel promuovere delle lotte a carattere nazionale.  
È significativo notare che in Francia una controriforma pensionistica meno pesante di quella passata in Italia con la legge Fornero ha portato a diverse giornate di lotta e sciopero nazionale, mentre nel nostro Paese le burocrazie sindacali non hanno convocato nessuna giornata di sciopero contro una controriforma molto pesante, così come non hanno reagito all’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, introdotto dal governo «amico» di Renzi, all’epoca alla guida del Pd.  
Le contraddizioni sociali nel Paese, e specialmente all’interno della classe operaia, si accumulano, con salari che non crescono, con una perdita del potere d’acquisto dei salari tra il 2019 e il 2024 stimata dall’Istat al 10,5% e con tagli ai diritti lavorativi e ai servizi sociali. Questo quadro sociale è un potenziale combustibile per le lotte; tuttavia, ancora non si è accesa quella particolare miccia che poteva portare a un’esplosione generale anche nel nostro Paese. Se da una parte la classe operaia non ha subito sconfitte in campo aperto contro gli attacchi padronali, questo è perché non è mai scesa apertamente in campo contro questi stessi attacchi. Il ruolo nefasto di freno delle lotte, l’atomizzazione di quelle che – nonostante gli sforzi delle burocrazie – scoppiavano comunque e, in generale, l’opera di disorganizzazione della classe operata dai sindacati confederali sono l’ostacolo principale sulla via di una ripresa generalizzata delle lotte. 
In questa situazione, il sindacalismo «di base» e «conflittuale» avrebbe ampio spazio per provare a rafforzarsi, ma rimane preda di un inguaribile settarismo – spesso dettato da interessi organizzativi e micro-burocratici – che contribuisce a mantenere le lotte separate, limitandone la crescita e impedendo al sindacalismo «classista» di rappresentare un’alternativa credibile al sindacalismo concertativo dei Confederali.   
Anche situazioni vertenziali locali in apparenza molto radicali, come la lotta della Gkn di Campi Bisenzio (che pure aveva suscitato un certo clamore mediatico e aveva visto un’ampia solidarietà dagli ambienti di sinistra in tutta Italia), non sono riuscite a uscire dalle logiche e dalle dinamiche imposte dalle grandi e piccole burocrazie sindacali (e dalle direzioni politiche riformiste e centriste). Una delle poche esperienze – per quanto ancora embrionale – che si sottrae alle logiche nefaste del resto del movimento sindacale è il Fronte di lotta No austerity, che i nostri militanti sostengono convintamente fin dalla sua fondazione, e che ha come sua ragione d’essere il collegamento e il coordinamento delle varie lotte attraverso la partecipazione in prima persona dei lavoratori e degli attivisti, con i metodi della democrazia operaia. 
In questo quadro, i militanti rivoluzionari devono intervenire all’interno dei sindacati portando avanti una medesima linea: sostenere la necessità dell’unità delle lotte; ribadire l’importanza della democrazia operaia come mezzo sia per stimolare la disposizione alla lotta dei lavoratori, sia per farne avanzare la coscienza, sia per superare i limiti imposti dalle burocrazie sindacali; utilizzare ogni occasione possibile per portare il socialismo nelle lotte, sia attraverso le rivendicazioni che attraverso la propaganda del socialismo tra l’avanguardia degli attivisti; rafforzare la costruzione del nostro partito attraverso il reclutamento degli operai che lottano al nostro fianco e che condividono le posizioni di lotta che difendiamo. 

 

La situazione nella sinistra «radicale» 

Nella nostra lotta per guadagnare un’influenza nella classe operaia, i nostri avversari principali oggi sono i partiti riformisti e centristi (cioè rivoluzionari a parole ma riformisti, opportunisti, nei fatti). Se la grande massa dei lavoratori è oggi preda dell’ideologia dominante – che è l’ideologia della classe dominante, cioè della borghesia –, l’avanguardia degli attivisti, invece, subisce generalmente l’influenza di questi partiti presuntamente «classisti», ma che sono in realtà agenti mascherati della borghesia all’interno del movimento operaio. Al presente stadio della costruzione del nostro partito è centrale la nostra lotta ideologica, teorica e politica con queste forze per poter rafforzarci e costruirci nella classe: la polemica con le altre organizzazioni è parte fondamentale della costruzione del partito delimitato programmaticamente e organizzativamente, perché è necessaria per sottrarre a queste organizzazioni opportuniste militanti che in buona fede vi aderiscono vedendone solo la superficie «comunista» o persino «trotskista». 
Potere al Popolo, tenuto in vita negli ultimi anni principalmente da alcuni centri sociali e dalle forze del sindacato Usb, si sta sempre più trasformando in una sigla elettorale, soprattutto nella misura in cui la Rete dei comunisti sta sempre più cominciando ad apparire apertamente come partito. Organizzazione stalinista che ha sempre diretto il sindacato Usb (all’insaputa della gran parte dei suoi iscritti) e che gestisce il sito Contropiano, negli ultimi anni è riuscita a riempire il vuoto politico lasciato dal Fgc tra i giovani attraverso le sue sigle giovanili e studentesche, Cambiare rotta e Osa. Pur presentandosi come organizzazione comunista radicale, la sua impostazione politica è quella classica dello stalinismo, cioè l’opportunismo e la conciliazione di classe, come si può vedere chiaramente dalla loro posizione sugli obiettivi della lotta della Resistenza palestinese (sostengono formule ambigue come «One State solution», che non differiscono nella sostanza dai «Due Stati») e nella loro gestione opportunista di Usb, che non solo aveva prontamente firmato il Tur nel 2014 per non perdere i loro posti di microburocrati sindacali, ma che è sempre disponibile a firmare accordi coi padroni svendendo le lotte. Si tratta del nostro principale avversario, che dobbiamo sfidare con articoli di critica in modo più sistematico di quanto fatto in passato, ma soprattutto costruendo il nostro partito e dimostrando come un’altra prospettiva politica e di lotta sia possibile. 
Tra le organizzazioni che si presentano come «trotskiste», pur rimuovendo gli elementi principali del trotskismo, la più consistente numericamente è l'autoproclamato Partito comunista rivoluzionario (ex Scr), sezione italiana della tendenza internazionale più a destra tra quelle si proclamano eredi del trotskismo, la Internazionale comunista rivoluzionaria (ex Imt). 
Basandosi su una revisione determinista del marxismo: sostituiscono il concetto di «socialismo portato dall'esterno» con l'idea del socialismo come «riflesso» meccanico della struttura; separano e contrappongono struttura e sovrastruttura, oppressioni (nazionale, delle donne, degli lgbt) e sfruttamento. Le conseguenze di questa visione a-dialettica ed «economicista» del marxismo sono: l'incomprensione della ragion d'essere del partito operaio d'avanguardia; la cancellazione nei fatti della questione nazionale e del tema delle oppressioni dal programma transitorio. Soprattutto rimuovono dal marxismo il suo nucleo: la concezione dello Stato, dato che, come il menscevismo e lo stalinismo, considerano possibili Stati e governi «neutri» o «in disputa». 
L'insieme di queste concezioni li ha portati negli anni ad assumere concretamente posizioni in completa rottura con l'abc del marxismo: come il sostegno più o meno «critico» a giunte (De Magistris a Napoli) e governi (Chavez in Venezuela, i castristi a Cuba) all'interno del capitalismo. O, ancora, a rifiutare il programma trotskista della distruzione dell'entità sionista e di una Palestina «unica, laica e non razzista», come parte di una federazione socialista del Medio Oriente: sostituito con l'obiettivo di una presunta «divisione su linee di classe» di Israele.  Queste posizioni non sono frutto di «errori» ma sono funzionali a un nuotare nel senso delle correnti dominanti nel movimento operaio, accodandosi opportunisticamente al castrochavismo, al «socialismo del XXI secolo», al «campismo» (non difendono la Resistenza ucraina all'invasione russa, sostenendo che sarebbe una guerra «interimperialista»), alle burocrazie sindacali in Cgil, eccetera. Negli anni abbiamo più volte polemizzato con Pcr/Scr per le loro concezioni opportuniste: dobbiamo proseguire e approfondire la nostra critica a questa formazione, mettendo in luce come il suo programma riformista contraddica l’essenza di tutti gli insegnamenti di Trotsky, della Rivoluzione d’ottobre e del bolscevismo, cercando di guadagnare tutti quei militanti che si considerano trotskisti e che hanno trovato questa organizzazione sulla loro strada.  
Rifondazione comunista, che ha avuto un seguito importante prima di dissiparlo con la sua partecipazione ai governi Prodi e che era stata il modello su cui anni dopo si sono costruiti i vari partiti neoriformisti in Europa, è ormai ridotta ai minimi termini, ed è politicamente divisa in due settori (che fanno capo ad Acerbo e Ferrero) che dibattono su come meglio arrivare a una nuova alleanza con il centrosinistra. Il dramma di questo partito si incarna negli attivisti di base onesti, che spesso esprimono posizioni molto più a sinistra del loro gruppo dirigente
(ad esempio sulla Palestina), ma rimangono prigionieri di un progetto politico di collaborazione di classe. Rafforzando il nostro progetto politico saremo in grado di attrarre quanto di sano è rimasto in questo partito. 
Una formazione politica praticamente sconosciuta, ma che ha una sua rilevanza nel quadro della lotta di classe in Italia, è la Tendenza internazionalista rivoluzionaria (Tir). Si tratta di un gruppo para-bordighista che dirige il sindacato Sicobas, sindacato di base che negli anni ha avuto un peso rilevante nell’organizzazione delle lotte dei lavoratori immigrati, soprattutto nel settore della logistica. Costruitosi con pratiche organizzative settarie, senza una vera crescita politica (né sindacale) dei quadri operai, né alcuna reale democrazia interna, il Sicobas si è tuttavia costruito un seguito in settori della classe. Da questo processo di convergenza è nata, attorno alla figura del leader carismatico del Sicobas Aldo Milani, la Tir. Ha posizioni bordighiste su tutti i principali fatti della politica internazionale (rifiuto di sostenere la Resistenza ucraina sostenendo la tesi degli «opposti imperialismi», rifiuto di sostenere il contrattacco iraniano all’aggressione sionista ecc.) e pratiche settarie nella lotta di classe, che ha trasmesso – tramite la sua influenza nei Gpi – all’interno del movimento di solidarietà con la Resistenza palestinese, di cui ha contribuito alla frammentazione. 
Il Fronte comunista, nato dalla scissione del Fronte della gioventù comunista dal Partito «comunista» di Marco Rizzo, rappresentava la parte più dinamica di quel Partito e aveva costruito un seguito rilevante tra i giovani. Oggi, tuttavia, sono evidenti tutti i limiti di questa formazione, sia in termini di costruzione che di progetto politico, arrivando a perdere molti dei suoi attivisti. A livello internazionale il suo riferimento è il Kke greco. Sebbene abbia tentato di fare un blocco, da loro chiamato impropriamente «Fronte unico», con il Sicobas su alcune iniziative e manifestazioni, il Fc/Fgc non è riuscito a costruirsi un seguito nella classe operaia. Mantengono tuttavia alcuni gruppi locali in cui vi sono attivisti giovani onesti che non si rendono conto del fallimento del progetto politico più generale del Fronte: è necessario discutere apertamente con questi compagni, quando li incontriamo nelle lotte, per cercare di mettere le loro energie al servizio di un progetto politico realmente internazionalista e rivoluzionario. 
Il Partito comunista dei lavoratori ha subito continue perdite fino a ridursi a un gruppo residuale che non rappresenta più un’alternativa credibile per chi si vuole avvicinare a una visione rivoluzionaria e internazionalista: la sua concezione organizzativa lassa, nei fatti menscevica, di un partito non delimitato né dal punto di vista programmatico, né da quello organizzativo, gli ha fatto perdere quanto guadagnato inizialmente grazie all’esposizione mediatica di Ferrando. Il recente ingresso nella Lega internazionale socialista, una corrente di destra del trotskismo, non servirà a ridare vita a un progetto politico fallimentare. 
L’Alleanza Verdi-Sinistra, che difficilmente si potrebbe definire «radicale» se non nel linguaggio della stampa borghese, ha in passato sfruttato la sua presenza in parlamento e la relativa esposizione mediatica per presentarsi come una «alternativa di sinistra» a Pd e M5s, seppure nei fatti non presenti alcuna differenza significativa con queste forze borghesi. Tuttavia la sua influenza esiziale sulla classe lavoratrice e sui movimenti di lotta non va sottovalutata, sia perché alle ultime elezioni europee ha intercettato i voti di settori del movimento che solitamente si orientano verso l’astensione candidando Ilaria Salis
(mettendo così un’abile operazione mediatica), sia perché settori del sindacalismo di base (in particolare settori della Cub) considerano questa formazione politica un interlocutore privilegiato, invitandone esponenti a convegni ed assemblee. 

 

Il nostro compito: la costruzione del partito 

Il nostro progetto politico rivoluzionario, nonostante tutte le difficoltà e le poche forze di cui disponiamo in relazione alle nostre possibilità di costruzione e soprattutto ai compiti storici che abbiamo di fronte a noi, rimane coerente e saldo. I recenti ingressi nel Partito, nonostante un certo turnover, dimostrano che c’è uno spazio politico e di costruzione superiore a quello che siamo riusciti a occupare negli ultimi anni. 
Tuttavia, rafforzando il nostro lavoro politico e organizzativo abbiamo la possibilità di consolidare un nucleo di nuovi quadri che possano far crescere ancora di più il partito nella fase successiva. 
Il nostro compito principale è quindi quello della propaganda del socialismo all’interno delle lotte, dei sindacati e dei movimenti, per cercare di guadagnarne gli elementi migliori e consolidarli nel partito.  Questa propaganda deve partire necessariamente dall’opposizione di classe al governo Meloni e alle sue misure antioperaie e repressive, così come al centrosinistra, ma poi deve svilupparsi anche nella lotta ideologica, teorica e politica diretta contro le organizzazioni riformiste e centriste. 
In questo processo di costruzione del partito saranno fondamentali anche gli obiettivi di lotta che proporremo alla classe operaia e ai settori sociali oppressi, così come le modalità stesse di questa lotta e la coerenza con cui i nostri militanti li perseguono. Guadagnarsi la fiducia della classe operaia lottando al suo fianco sarà fondamentale per portarne gli elementi migliori all’interno del partito. 
Una particolare attenzione dovrà essere riservata al movimento di solidarietà con la Resistenza palestinese, che ha rappresentato il movimento più consistente e duraturo a livello internazionale da diversi anni a questa parte, e dovrà essere uno degli ambiti prioritari del nostro intervento nella prossima fase, tanto più perché siamo praticamente gli unici ad avanzare un programma realmente rivoluzionario. Allo stesso modo non dobbiamo trascurare di intervenire nei movimenti contro l’oppressione di genere e l’omobitransfobia, un altro settore che ha visto importanti mobilitazioni negli ultimi anni, portando la nostra visione, le nostre parole d’ordine, il nostro programma e i nostri metodi di lotta – cioè lo sciopero, l’arma della classe operaia – che ci permetteranno di differenziarci da tutti i settori femministi borghesi e piccolo-borghesi e di raggruppare l’avanguardia più combattiva del movimento attorno a noi.   
Solo costruendo il partito rivoluzionario possiamo creare quello strumento indispensabile per promuovere la crescita delle lotte, per dirigerle contro la borghesia e il suo sistema socioeconomico, e per portare queste lotte alla vittoria rivoluzionaria. Il superamento della crisi della direzione rivoluzionaria deve cominciare dagli sforzi di ogni nostro militante, in Italia come nel resto delle sezioni della Lit-Quarta Internazionale, per costruire il partito della futura rivoluzione giorno per giorno. 

 

 

 

 

Iscrizione Newsletter

Iscrizione Newsletter

Compila il modulo per iscriverti alla nostra newsletter - I campi contrassegnati da sono obbligatori.


Il campo per collaborare col partito è opzionale

 

Campagne ed Iniziative





 

 






Il libro sulla lotta in Alitalia

 il libro che serve per capire Lenin

 

perchè comprare

la loromorale e lanostra




Bari incontri di formazione 


sabato 28 giugno


8 giugno scuola nazionale

 

 

 


Venerdì 16 maggio

Siena

 


Sabato 3 maggio

Modena

 


venerdi 11 aprile

 
 
 

Bari 7 marzo
 
 

 
21 febbraio
zoom nazionale
 
 

 
BOLOGNA
15 febbraio ore 1030
 

 Giovedì 28 novembre
Zoom 
 

 


Modena (19 ottobre)

e Milano (20 ottobre)


sabato  19 ottobre

Modena


12 ottobre

Cremona

 


7 ottobre


 

 

 
 

 

Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale

NEWS Progetto Comunista n 145

NEWS Trotskismo Oggi n 25

Ultimi Video

tv del pdac