Insegnanti e studenti sanno da che parte stare: no al ddl Gasparri!
di Fabiana Stefanoni
Il mondo della scuola e dell’università è sceso in campo senza esitazioni in occasione delle recenti grandi mobilitazioni a sostegno della Resistenza palestinese. Il 22 settembre e il 3 ottobre (giornate di sciopero generale), così come il 4 ottobre a Roma, insegnanti, ricercatori e studenti sono stati una componente importante delle masse oceaniche che hanno attraversato le strade del Paese al grido di «Palestina libera».
Il ddl Gasparri, presentato lo scorso agosto, confonde antisionismo e antisemitismo al solo fine di sanzionare chi si è sempre schierato al fianco della Resistenza palestinese. Ma deve fare i conti con una mobilitazione di massa senza precedenti.
Antisionismo non è antisemitismo
Il ddl Gasparri (1622) - «Disposizioni per il contrasto all’antisemitismo e per l’adozione della definizione operativa di antisemitismo» - in discussione in Senato è un attacco alla libertà di pensiero (formalmente difesa anche dalla falsa democrazia liberale) e, soprattutto, alle mobilitazioni a sostegno della Palestina. È una presa di posizione esplicita a sostegno dei sionisti: si sostiene che dal 7 ottobre il problema non sia il genocidio compiuto dall’entità sionista, ma il fatto che «i focolai di antisemitismo già presenti in tutta Europa (…)» si siano «estesi e propagati sotto la veste di antisionismo, dell'odio contro lo Stato ebraico e del suo diritto a esistere e difendersi». È un argomento retorico truffaldino simile a quelli usati in altre occasioni: quando gli operai bloccano le autostrade durante gli scioperi, ci spiegano che il problema non è lo sfruttamento ma il danno recato al traffico; quando un uomo compie un femminicidio, il problema non è la violenza maschilista ma la donna «che provoca». Di fronte al genocidio dei palestinesi e al colonialismo d'insediamento che da quasi un secolo opprime la Palestina, ritenere che il problema sia chi critica il sionismo e non il sionismo stesso è un’espressione di macabro cinismo.
Si tratta di una misura repressiva in sintonia con quelle che sono state adottate da altri governi, sia di destra – pensiamo ad esempio alla persecuzione di attivisti pro-Palestina nelle università statunitensi da parte dell’amministrazione Trump – sia di «sinistra» - come la messa fuori legge (con conseguenti arresti di massa) di Palestine Action ad opera del governo laburista inglese.
Il ddl Gasparri confonde, intenzionalmente, antisionismo e antisemitismo: riprende la definizione di antisemitismo dell’Ihra (Alleanza internazionale per la memoria dell’olocausto) che include nel concetto di antisemitismo la critica allo «Stato di Israele». Anche qui è bene ricordare, soprattutto a chi oggi grida allo scandalo dai banchi dell’opposizione borghese, che è l’Unione Europea che ha raccomandato agli Stati membri di accogliere la «definizione operativa di antisemitismo» dell'Ihra, supportandone l'applicazione con ingenti risorse. In Italia, nello specifico, fu il governo Conte2 (governo a guida M5s e Pd, col sostegno di parlamentari che ora sono in Avs) ad adottare, nel 2020, la definizione dell’Ihra. Lo stesso ddl Gasparri lo ricorda nel testo: «in Italia, l'adozione è stata sancita nella riunione del Consiglio dei ministri del 17 gennaio 2020».
Al di là dell’intento politico, che è evidentemente quello di colpire le mobilitazioni straordinarie di questi mesi, l’equiparazione dell’antisionismo all’antisemitismo non ha alcun fondamento storico: un conto è la discriminazione degli ebrei (etnica e religiosa), un altro conto è l’opposizione alle politiche coloniali e razziste dell’entità sionista in Palestina.
Non è la prima volta che si cerca di fare confusione sull’argomento: l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (ex Pci, poi Pd) è stato in prima linea nella difesa del sionismo. «Negare le ragioni storiche della nascita dello Stato di Israele è una forma di antisemitismo», «No all’antisemitismo anche quando si traveste da antisionismo»: i più vecchi di noi lo hanno sentito spesso, da presidente della Repubblica, pronunciare queste frasi, di fronte agli sguardi compiaciuti di esponenti dell’allora governo Prodi (tra cui Bertinotti, allora presidente della Camera per Rifondazione Comunista) (1).
Prodi, quando fu a capo di governi di centrosinistra, rafforzò i legami con «Israele», trasformando in legge il memorandum d'intesa che Berlusconi aveva precedentemente stipulato con i sionisti per la cooperazione nel settore militare e della difesa. La legge del 17 maggio 2005, composta di 11 articoli e di un capitolo tenuto segreto al Parlamento per «motivi di sicurezza», ratificata ai tempi del governo Prodi, prevede la «cooperazione nella ricerca, nello sviluppo e nella produzione» di tecnologie militari, anche tramite «lo scambio di dati tecnici, informazioni e hardware». Vengono inoltre incoraggiate «le rispettive industrie nella ricerca di progetti e materiali» di interesse comune.
La verità è che sempre i governi borghesi, in Italia, sia di destra che di sinistra, hanno difeso le relazioni politiche, militari e commerciali con i sionisti. I Partiti che hanno partecipato a quei governi e oggi si presentano nelle piazze per la Palestina compiono un atto di ipocrisia che dobbiamo smascherare.
Dobbiamo aggiungere che la maggioranza degli ebrei nel mondo è antisionista; ebrei antisionisti sono i migliori storici che si occupano della Palestina; decine di associazioni ebraiche nel mondo si battono contro il sionismo e partecipano in prima fila al boicottaggio di «Israele».
Le ricadute sul personale della scuola
Gli articoli 2 e 3 del ddl Gasparri entrano nello specifico della scuola e dell’università. Oltre a prevedere «l'istituzione, presso le scuole di ogni ordine e grado, di corsi annuali di formazione per studenti sull'antisemitismo e sull'antisionismo», nell’art. 4 il ddl Gasparri integra l'articolo 604-bis del codice penale. Prevede infatti la pena della reclusione da due a sei anni anche quando si metta in discussione il «diritto all'esistenza dello Stato di Israele» o si faccia riferimento «alla sua distruzione» (almeno così pare di capire, al netto delle sgrammaticature presenti nel testo). La pena aumenta ulteriormente se si utilizzano simboli, immagini o riproduzioni che, tra le altre cose, neghino il «diritto all’esistenza dello Stato di Israele».
È evidente cosa significhi tutto ciò: chiunque osi criticare la politica coloniale dei sionisti e rivendicare una «Palestina libera dal fiume al mare» rischia pesanti ripercussioni. Ma c’è una cosa di cui i sostenitori di questo disegno di legge non hanno tenuto conto: il potenziale rivoluzionario rappresentato dalla mobilitazione per la Palestina. Da decenni non si vedeva nel mondo una mobilitazione di queste dimensioni, paragonabile solo al grande movimento contro la guerra in Vietnam che alimentò il Sessantotto. In Italia la lotta per la Palestina libera dal fiume al mare si è unita con il movimento operaio, dando vita ai più grandi scioperi generali (22 settembre e 3 ottobre) degli ultimi 50 anni. È un movimento di massa che può respingere questo attacco liberticida, come ha respinto i tentativi di proibire o limitare gli scioperi e ignorato le leggi repressive che criminalizzano l'occupazione di strade e stazioni. Perché in definitiva i rapporti di forza tra le classi, nelle piazze, nei luoghi di lavoro, sono più forti delle leggi dei governi padronali.
Ma per avanzare e non cedere a minacce e ricatti è necessario rilanciare, al più presto, la mobilitazione. Le direzioni del movimento operaio devono organizzare in forma unitaria uno sciopero generale prolungato fino alla cacciata del governo Meloni: temporeggiare significa concedere al nemico la possibilità di attaccare. Quando si apre una fase acuta della lotta di classe, aumenta anche la repressione dello Stato borghese. Non possiamo né dobbiamo permetterlo: solo la forza delle masse in sciopero e in lotta può sconfiggere il governo, aprendo la strada ad un’alternativa di società e di potere. Le piazze di queste settimane e il milione a Roma il 4 ottobre dimostrano che abbiamo la forza per farlo.
Al contempo noi pensiamo che occorra costruire una direzione politica rivoluzionaria che contrasti i tentativi di traghettare questo enorme movimento a sostegno di un nuovo governo capitalistico, a guida Pd-5 Stelle. L’umanità non ha più tempo, gridavano i giovani nelle piazze: oggi è sempre più vero.
Note
1) www.lastampa.it/politica/2007/01/25/news/napolitano-no-all-antisionismo-1.37135810
2) https://ilmanifesto.it/archivio/2003112771